«Per raggiungere l’isola sono partito da Torino»
La scuola dello Stabile, gli anni alle Fonderie Limone, gli inizi con Malosti: Leonardo Lidi (Maurizio nel film in onda su Netflix) racconta come è arrivato sulla piattaforma al largo di Rimini
Dopo un mese di programmazione, L’incredibile storia dell’isola delle Rose di Sydney Sibilia continua a stazionare tra i migliori 10 titoli di Netflix dopo essersi rivelato, fin da subito, uno dei contenuti più visti e apprezzati della piattaforma. Ispirato al libro L’isola e le rose di Walter Veltroni, il film conta su un ricco cast composto, fra gli altri, da Fabrizio Bentivoglio e Luca Zingaretti; protagonista, al fianco di Elio Germano, è Leonardo Lidi, piacentino di nascita «ma di formazione artistica torinese», come tiene orgogliosamente a precisare.
«Perché sono venuto proprio qui a studiare? Semplice, a Torino c’è la grande Scuola per Attori del Teatro Stabile. Ho avuto la fortuna di essere selezionato per un triennio e fino al 2012, anno in cui mi sono diplomato, sono stato un torinese a tutti gli effetti».
Dove ha vissuto?
«Negli alloggi delle Fonderie Limone a Moncalieri. All’epoca lo Stabile offriva questo fondamentale servizio agli studenti. E poi caratterialmente mi si addiceva; diciamo che ero tutto “casa e bottega” e anche in questo senso Torino era perfettamente adeguata ai miei bisogni».
Ha ancora dei legami con la città?
«Altroché, e molto solidi. Con Filippo Fonsatti, direttore del Tst, e Valter Malosti, l’allora direttore della Scuola per Attori, ho strettissimi rapporti lavorativi e di stima. Nel 2012 Malosti fu il primo a offrirmi una parte in Sogno di una notte di mezza estate. Fonsatti invece mi ha affidato Peter Pan nel 2016, la mia prima regia, seguita dalla trilogia dedicata a Natalia Ginzburg. In pratica è stato il primo a credere davvero in me come regista».
Il cinema?
«Ho esordito ne La luna su Torino di Davide Ferrario, un piccolo ruolo in una città che ha segnato i miei inizi in ogni campo».
E nel futuro?
«Prima del lockdown avevamo debuttato per poche repliche con La casa di Bernarda Alba di Garcia Lorca; su quell’esperienza c’è anche un documentario disponibile su
Youtube, Una terrible repetición. Bene, posso anticipare che questo spettacolo sarà ripreso al Carignano, forse già nel prossimo autunno».
Quali sono i suoi autori d’elezione?
«Fassbinder e Williams, perché raccontano temi universali, come confini e fuga dalla realtà. Inoltre, durante i miei studi per diventare regista, mi sono appassionato al drammaturgo inglese Arnold Wesker».
Peter Pan, il «Sogno» di Shakespeare, ora Wesker definito «utopista fino all’ingenuità». Sembra proprio che lei ami aggirarsi nei luoghi di Utopia.
«Rivedendo ogni passo potrebbe sembrare un percorso a tema, ma credo si tratti di tappe isolate, seppure coerenti».
Com’è stata quella dell’isola delle Rose?
«Con il cinema, ogni tanto, esco dalla confort zone teatrale. Ma recitare a fianco di Elio Germano, uno dei più grandi attori italiani, è stato stimolante, perché Elio sa dialogare e non ti chiede di essergli comprimario».
Il suo ruolo è ricco di sfumature drammatiche ma poteva essere facilmente banalizzato.
«Ne sono consapevole. Era un rischio per la mia fisicità e per il dialetto. Spero, e credo, che questo non sia successo perché il regista mi ha lasciato molta libertà creativa e io ho sfruttato al meglio la mia esperienza teatrale».
Com’è stato lavorare con
Netflix?
«Investendo molto in questa produzione ha avvicinato una platea di giovanissimi al cinema. Inoltre mi piace che questa piattaforma proponga un’offerta variegata: sceglie il divertimento come chiave, ma senza esserne sopraffatta».
E cosa l’ha colpita della storia?
«La costruzione di una piattaforma al largo di Rimini nel 1968 da parte di un paio di sognatori che vogliono fondare uno stato libero e senza regole è una storia non scontata, che ti coinvolge».
Alla fine siamo tornati all’utopia. Cosa significa davvero per lei?
«Nel film il protagonista riesce a crearsi un mondo personalizzato, come un adolescente che tappezza la sua stanza di poster rassicuranti. Ma per me, la vera Utopia è saper costruire un mondo che soddisfi i bisogni di un’intera collettività».