«Riporto il mio Giorgio in libreria»
La nave di Teseo ha ripubblicato i romanzi di Faletti in una collana a lui dedicata. Dietro questa operazione c’è la moglie Roberta: «Avrebbe amato questa sfida»
«Sono certa che Giorgio stia strizzando l’occhio a questa nuova uscita dei suoi libri. Era una persona che aveva la necessità fisiologica di affrontare delle nuove sfide. Aveva sempre il coraggio di rimettersi in gioco. Cercava continuamente quell’adrenalina che si ha quando si è esordienti». Da qualche giorno la casa editrice La nave di Teseo ha ripubblicato i romanzi di Giorgio Faletti in una collana a lui dedicata. Dietro a questa operazione, che ha incontrato l’entusiasmo dei lettori di Faletti, c’è la moglie Roberta Bellesini che in questi anni, dopo la morte dello scrittore, ne ha portato avanti i progetti.
«Sono certa che Giorgio stia strizzando l’occhio a questa nuova uscita dei suoi libri. Era una persona che aveva la necessità fisiologica di affrontare delle nuove sfide. Aveva sempre il coraggio di rimettersi in gioco. Cercava continuamente quell’adrenalina che si ha quando si è esordienti». Da qualche giorno la casa editrice La nave di Teseo ha ripubblicato i romanzi di Giorgio Faletti in una collana a lui dedicata.
Dietro a questa operazione, che ha incontrato l’entusiasmo dei lettori di Faletti, c’è la moglie Roberta Bellesini che in questi anni, dopo la morte dello scrittore, ne ha raccolto l’eredità e ne ha portato avanti i progetti.
Quale sentimento le provoca questa nuova vita dei libri di suo marito?
«È un omaggio importante, in particolare al suo romanzo d’esordio, Io uccido, che viene celebrato con una doppia copertina. La prima, è quella originale del 2002 che tanti ci raccontano di aver ricevuto, anche in più di una copia, sotto l’albero di Natale di allora. La seconda ha invece la nuova veste grafica che contraddistingue la collana. Inoltre c’è una bellissima post fazione di Jeffery Deaver che era diventato un amico del cuore per Giorgio».
Come si conobbero?
«Era l’estate del 2002 e aveva appena consegnato la bozza di Io uccido all’editore. Una nostra amica che lavorava in una casa editrice, conoscendo la passione di Giorgio per Deaver che sarebbe stato in Italia per qualche giorno, organizzò una cena a Milano. Fu una serata molto divertente e tra loro scattò una grande simpatia che si trasformò in stima e amicizia. Ricordo che c’era un caldo pazzesco e che, per fargli assaggiare tutte le specialità italiane, servirono anche la polenta con lo spezzatino».
Quando vi innamoraste?
«Ci incontrammo a cena a casa di amici ad Asti, era l’estate del 2000 e c’era la finale degli Europei di calcio».
Lei era di 20 anni più giovane. Come la conquistò?
«Con il suo entusiasmo adolescenziale. Quella sera, per esempio, era elettrizzato dal suo nuovo progetto discografico, l’album era Nonsense,
che mi raccontò nei particolari. Il suo atteggiamento era più quello di un ragazzino piuttosto che di un uomo adulto. Poco per volta, conoscendoci meglio, mi conquistò con la sua profondità e con il suo modo di affrontare la vita».
«Io uccido» resta un titolo straordinario.
«Lo aveva in mente ancor prima di iniziare a scrivere. Mi diceva: “Non so come l’utilizzerò ma prima o poi accadrà”. Aveva in testa la trama e poco per volta decise di dedicarsi alla scrittura e venne fuori il romanzo. Inizialmente era più di 800 pagine poi l’editor Piero Gelli, che è morto da poco, lo convinse a limare».
Faletti è stato uno scrittore prolifico. Che tipo di libro scriverebbe, secondo lei, oggi?
«Giorgio amava molto i giovani, lo stimolava confrontarsi con loro, fargli anche da papà. Per questo teneva spesso degli incontri nelle scuole superiori e nelle università, per questo aveva deciso di recitare in Notte prima degli esami. Penso che gli piacerebbe scrivere un romanzo in cui raccontare i disagi dei ragazzi nella nostra società dell’ultimo decennio».
Qual era il suo ruolo?
«Lui scriveva circa un capitolo al giorno. Poi lo stampava e me lo metteva sul comodino, il mio compito era leggerlo prima di dormire. Aveva chiarissima in mente la trama e voleva essere certo di averla resa al meglio per il lettore».
Come sta?
«Ho raggiunto la serenità negli ultimi due anni. Prima ho portato a termine il suo lavoro. Ho pubblicato i libri postumi e ho messo in scena uno spettacolo teatrale che aveva scritto poco prima di morire, L’ultimo giorno di sole, ci teneva molto e lo avrebbe anche diretto. L’ho portato a New York. Ho avuto il terrore di non fare le cose alla sua altezza ma, quando ho visto la gente piangere in teatro, ho capito che ce l’avevo fatta».
C’è un libro di suo marito che le è più caro?
«Sia per la trama che per il personaggio romantico, amo particolarmente Fuori da un evidente destino. Vi è legata un’esperienza di vita bellissima, infatti, poiché la storia è ambientata tra gli Indiani Navajo, vivemmo per tre mesi viaggiando tra le riserve. Fu un’esperienza davvero meravigliosa»
L’esordio
«È un omaggio importante, in particolare al suo romanzo Io uccido» I ragazzi
«Giorgio amava molto i giovani, lo stimolava confrontarsi con loro, fargli anche da papà»