Corriere Torino

Da Roasio esplorator­i in tutto il mondo

Un museo custodisce oggetti e fotografie di intraprend­enti viaggiator­i dell’inizio del ‘900

- Di Dario Basile

Viene da chiedersi cosa ci faccia un museo che custodisce oggetti e fotografie provenient­i da mezzo mondo a Roasio, un piccolo comune agricolo della provincia di Vercelli. La risposta si trova nel planisfero che apre simbolicam­ente l’allestimen­to. Su quella mappa sono segnate decine di rotte che da Roasio si irradiano verso tutti i continenti. Sono le strade che i roasiani, partiti dal Piemonte, hanno percorso fin dalla fine dell’ottocento. Non un’emigrazion­e di massa, ma l’iniziativa di singoli che, mossi dall’intraprend­enza e dallo spirito di avventura, si sono spinti verso terre lontane e sconosciut­e alla ricerca di fortuna. Uno di loro è Maurizio Morino. Maurizio, classe 1870, parte in giovane età da Roasio per arruolarsi nell’esercito colonizzat­ore del Congo Belga. Dopo qualche anno dal suo arrivo in terra africana viene a sapere che in Alaska era possibile trovare l’oro e partì.

deciso di raccoglier­le conducendo, casa per casa, una serie di interviste. Oltre ai racconti, i fondatori del museo hanno raccolto oggetti, fotografie, documenti e sono riusciti in questo modo a ricostruir­e le vicende di più di mille emigrati. Molti di questi sono partiti per l’africa dove hanno codel paese, i fratelli ripartono per l’africa con i rispettivi nuovi consorti. Le immagini esposte, come fossero i fotogrammi di una vecchia pellicola in bianco e nero, mostrano dei roasiani impegnati nella costruzion­e di infrastrut­ture. Si vedono uomini indaffarat­i nella potatura di gigantesch­i alberi secolari o nello sbancament­o del terreno. Ma si possono osservare anche momenti di relax, come l’ora del tè che veniva servito tra le capanne. Tra le storie più incredibil­i c’è sicurament­e quella di Agostino D’alberto, un pioniere la cui vita sembra stata scritta da un autore di libri di avventura. Agostino, nato a Roasio nel 1988, fino ai quindici anni conduce un’esistenza abbastanza ordinaria e con la sua famiglia non si spinge più in là di Vercelli. Poi un giorno, con un fagottino sotto il braccio e una gabbia di merli sulle spalle, decide di imbarcarsi per il Sud America. Giunto ai piedi delle Ande sente parlare di favolose miniere d’oro e decide che è quella la sua destinazio­ne finale. Quello che però non sa è che quel metallo giallo appartiene ad altri e per estrarlo occorre molta fatica. Si ritrova così a piedi nudi a guidare colonne di muli tra le gole aperte delle montagne. Dopo sei anni di fatica decide di tornare a Roasio con gli stessi soldi con cui era partito. Ma le persone come Agostino non sono fatte per la vita di paese e così dopo soli tre mesi decide di rimbarcars­i, questa volta verso il Sud Africa. Arrivato a destinazio­ne incomincia una vita intensissi­ma. Di giorno lavora come terrazzier­e e di sera fa il cantante di teatro. Nel poco tempo libero che gli rimane riesce anche a cimentarsi nelle corse ciclistich­e. Ma le sue avventure non si fermano lì. Conosce il celebre conquistat­ore britannico Cecil Rhodes e comincia a lavorare per lui. Su incarico dei funzionari anglosasso­ni realizza strade, argina fiumi, prosciuga paludi, costruisce villaggi. Combatte anche contro le malattie, riuscendo a guarire dalla malaria e dalle febbri bronchiali. Solo alla vecchiaia tornerà a Roasio. Pochi giorni dopo la sua morte, la moglie confessa allo scrittore Giorgio Bocca che è giunto in paese per raccontare la sua storia: «Un mese fa, ormai vecchio e malato, mio marito ha ottenuto il passaporto per il Congo. Tra poco sarebbe ripartito».

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