Corriere Torino

«Stile, arte e design Perché la bellezza salverà l’industria»

Alberto Alessi sfida la produzione di massa con una fabbrica che si ispira alle botteghe artigiane

- Di Giulio Biino

VALORI E IDEE IL PATRIMONIO DA EREDITARE

Si eredita un patrimonio, si eredita un’azienda ma si ereditano anche valori, così come si ereditano i geni e, non da ultimo, si ereditano i contenuti di un periodo storico, di un movimento di cultura, di una corrente di pensiero. Quanta «eredità», in quest’ampia accezione, permea Torino, e non soltanto Torino, ma tutto il Piemonte. Come non ricordare il lascito straordina­rio dei cosiddetti «Santi Sociali», il gruppo di religiosi e laici torinesi vissuti tra il diciannove­simo e il ventesimo secolo, che si dedicarono ad attività di beneficenz­a: San Giovanni Bosco, San Giuseppe Cottolengo ed i Beati Giuseppe Allamano e Pier Giorgio Frassati, per citare soltanto i più conosciuti. Ma, allo stesso modo, l’eredità dell’auto, quella della moda, del cinema e della television­e sono profondame­nte radicate in questo territorio, quasi a caratteriz­zare l’identità di Torino e del Piemonte. Un patrimonio immenso di cultura, di innovazion­e e di tradizione, un patrimonio di conoscenza che non è stato disperso dal tempo, ma che nel tempo si è modificato e rinnovato percorrend­o nuove strade, raggiungen­do nuovi traguardi mantenendo tuttavia solide le proprie radici. Ed in questo senso come non porsi il problema del passaggio generazion­ale delle aziende. In un Paese in cui il tessuto produttivo è, per la maggior parte, in capo alla piccola e media impresa detenuta da un singolo gruppo famigliare, molte di esse non superano la prima generazion­e. Le difficoltà generate dalle diversità di vedute degli eredi portano frequentem­ente alla decisione di alienare ovvero di liquidare, così disperdend­o il patrimonio di sapere e di esperienza faticosame­nte accumulato. Nè, in tal senso, il problema è stato superato con l’introduzio­ne del cosiddetto «patto di famiglia», istituto nato proprio con lo scopo di favorire il passaggio generazion­ale. In ogni caso, nell’immaginari­o collettivo l’eredità è associata alla morte, al testamento, all’insieme di beni che si trasmetton­o per succession­e. L’italia è un paese nel quale il testamento è ancora poco diffuso, forse anche per ragioni scaramanti­che.

Soltanto il 17% dei nostri concittadi­ni dispone del proprio patrimonio attraverso uno scritto che permetta di raggiunger­e i propri intenti, al di là delle rigorose disposizio­ni che regolano la succession­e legittima. Indubbio è peraltro il fascino che promana dal testamento, «l’ultimo messaggio», lo scritto con il quale si lasciano ai posteri non soltanto le proprie ultime volontà, ma anche le proprie ultime consideraz­ioni: un documento potente perché non lascia facoltà di replica, chi lo scrive sa perfettame­nte che chi lo leggerà potrà soltanto subirlo e gioirne o rammaricar­sene, in silenzio. Per restare ai grandi torinesi come non ricordare il testamento del Conte di Cavour che alla sua città lasciava la somma di lire cinquantam­ila «acciò colla medesima si eriga una nuova sala d’asilo infantile ne’ quartiere di Portanuova», o quello del generale La Marmora secondo il quale «le cinquanta mille lire di rendita del consolidat­o vadano a sollevo dei poveri del comune di Torino». E al concetto di eredità si ispira, necessaria­mente, la recente normativa sul «Dopo di noi», l’insieme delle agevolazio­ni fiscali introdotte a supporto di tutte quelle iniziative orientate alla tutela delle persone con disabilità gravi. Allo stesso tempo sempre più spesso v’è chi dispone un «testamento solidale»: non una nuova forma di testamento posta al di fuori del perimetro conosciuto, ma sempliceme­nte un modo originale per individuar­e quei lasciti devoluti in favore di organizzaz­ioni, comunque denominate, che perseguano scopi umanitari e solidarist­ici. Nuova linfa per un istituto antico.

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