«Le mie Biancaneve del Novecento tra droga e bordelli»
Oliva presenta alla Libreria Bufò il suo romanzo in corsa allo Strega
Le favole non sempre sono quello che sembrano. Al netto del successo Disney, la vera storia di Biancaneve non si conclude sul cavallo del principe, «ma con i due che si vendicano della matrigna facendole indossare scarpe di metallo arroventate e obbligandola a danzarci dentro finché non stramazza morta». Biancaneve nel Novecento (Solferino) è il libro che l’autrice bolognese Marilù Oliva presenterà in diretta streaming oggi alle 19.15 sulla pagina Facebook della libreria torinese Bufò. È una storia in cui le due protagoniste, la piccola Bianca figlia di Goldrake, degli anni 80 e di una famiglia disfunzionale, e Lili che è nata nel 1919 e che verrà reclusa a Buchenwald e costretta a prostituirsi nei bordelli voluti da Himmler, vivono una vita parallela e solo a tratti lontanissima.
Dove è nata questa storia?
«Gli input sono due: la mia passione per il 900 e la Shoah e una parte di autofiction. A tratti Bianca sono io».
Il mondo di Bianca è una Bologna invasa dall’eroina. Che elemento narrativo è la droga?
«Dal punto di vista letterario è un elemento fortissimo che mi ha permesso di fare molte variazioni e giochi psichedelici altrimenti impossibili. C’è un momento di perdizione di Bianca, inventato, che mi sono divertita molto a scrivere».
Lei è nata nel ‘75 e Bologna era piena di artisti, di studenti e di eroina.
«All’epoca di quella gioventù vivevo a Milano e facevo la spola. In entrambe le stazioni era normale vedere i tossici che si facevano. Nei prati si schivavano le siringhe. Molti episodi li ripropongo nel romanzo. L’overdose di un amico di Bianca è un ricordo vero. Tutti noi di quella generazione siamo stati lambiti, almeno, dall’eroina. Nelle note specifico che non mi è mai accaduto, perché ogni giorno ai miei allievi dico di stare lontani dalla droga e non vorrei passare per quella che ha razzolato male. Sto crescendo dei lettori, il primo libro che faccio leggere è sempre Se questo è un uomo di Primo Levi».
Destrutturiamo il mito del principe.
«Bianca si salva da sola».
E Lili?
«Leggo molti saggi e Lili è nata da un volume di Mimesis che si intitola I Bordelli di Himmler e che parla del sesso nei campi di concentramento».
Hanno punti in comune?
«Entrambe sono parte del 900, ma con la storia hanno un rapporto monco. Bianca la conosciamo a quattro anni, in sottofondo c’è la strage di Bologna, ma non la riguarda se non attraverso il telegiornale che segue suo padre. Lili è una contadina bretone che pensa che la storia sia una questione di cui si occupano solo gli uomini. Bianca a un certo punto si tuffa nella storia, Lili ne viene inghiottita ferocemente. Entrambe sono parte di una famiglia in cui non sono a loro agio».
Giovanni, il padre di Bianca, è una figura accogliente, presente. Lontano dagli uomini di quegli anni.
«È un personaggio calibrato sul ricordo di mio papà che era un antesignano rispetto ai tempi, era accudente. Era napoletano e molto geloso di mia mamma ma rispettava la sua libertà. Candi, la madre di Bianca, è una minaccia per la loro bolla. Giovanni è il suo eroe. Lei scoprirà col tempo che la strega cattiva non è solo cattiva. Tengo molto agli uomini di questo libro: a Elio, che contribuirà al salvataggio — realmente accaduto — di quasi mille bambini nel lager di Buchenwald. E anche al primo fidanzato di Bianca, il mio primo grande amore, che vive in una bella casa ordinata con la famiglia del Mulino Bianco. Poi, c’è chi le stravolgerà la vita».
Maria Rosa Cutrufelli l’ha presentata allo Strega.
«Sono grata a lei e anche alla mia casa editrice che mi supporta molto. Cerco di non avere aspettative. Non sogno a occhi aperti, ho paura della delusione».
❞ Dentro la storia Parlando di Bianca e Lili, racconto la mia Bologna, ma anche il dramma dei campi di concentramento
❞ Autofiction Il padre Giovanni ricorda il mio papà, un uomo accudente e rispettoso della libertà di mia madre