Cacciari e i «mostri del presente»
Il filosofo stasera al Circolo (online) presenta il suo libro, «Il lavoro dello spirito»
«Ciò che occorre è proprio realizzare una politica grande borghese. Questa fino a oggi è sempre mancata, e la sua assenza ha generato i mostri del presente». È una riflessione su Max Weber l’ultimo libro di Massimo Cacciari, Il lavoro dello spirito, pubblicato da Adelphi. Il professore emerito di Estetica all’università di Venezia lo presenterà questa sera alle 21 e, insieme ai colleghi Maurizio Ferraris ed Emilio Corriero, risponderà alla seguente domanda, valida ancora oggi: il capitalismo finirà
Il filosofo Massimo Cacciari per erodere lo spazio che un tempo era occupato dal Politico, riducendo quest’ultimo a mero contratto? (l’evento è disponibile online, sui canali social del Circolo dei Lettori: Facebook, Youtube e sul sito www.circololettori.it). È un «esercizio di altissima alchimia», la relazione tra potere politico e potere economico, «non può esistere uno senza l’altro», sostiene Cacciari, «il problema semmai consiste nel modo in cui i due poteri si rapportano, quale dei due prevale».
«Ciò che occorre è proprio realizzare una politica grande borghese. Questa fino a oggi è sempre mancata, e la sua assenza ha generato i mostri del presente». È una riflessione su Max Weber l’ultimo libro di Massimo Cacciari, Il lavoro dello spirito, pubblicato da Adelphi. Il professore emerito di Estetica all’università di Venezia lo presenterà questa sera alle 21 e, insieme ai colleghi Maurizio Ferraris ed Emilio Corriero, risponderà alla seguente domanda, valida ancora oggi: il capitalismo finirà per erodere lo spazio che un tempo era occupato dal Politico, riducendo quest’ultimo a mero contratto? (l’evento è disponibile online, sui canali social del Circolo dei Lettori: Facebook,
Youtube e sul sito www.circololettori.it).
È un «esercizio di altissima alchimia», la relazione tra potere politico e potere economico, «non può esistere uno senza l’altro», sostiene Cacciari, «il problema semmai consiste nel modo in cui i due poteri si rapportano, quale dei due prevale». Secondo il sociologo tedesco la conciliazione tra queste due forze si sarebbe potuta risolvere soltanto all’interno di un regime democratico parlamentare, ma come dice Cacciari: «ovviamente a Weber non sfuggiva il pericolo di una svolta autoritaria, secondo logiche demagogo-plebiscitarie». È impossibile non trovare richiami al presente, all’italia e all’occidente contemporaneo. «Dove il parlamento non funziona, è evidente che evolvano movimenti di protesta.
Così è avvenuto in Italia e in Germania tra le due guerre mondiali. La deriva autoritaria è un pericolo immanente di tutte le democrazie. E sebbene ritengo che non ci saranno più Hitler o Stalin, sono convinto che con le strette a cui stiamo assistendo la crisi del parlamento non possa fare altro che aumentare». Prima della grande delusione, del gelido mostro con cui Nietzsche identificava lo stato, indifferente e nemico, c’è stato un momento in cui la politica era identificata come servizio pubblico nel vero senso del termine, gestione e cura dello Stato, caratterizzato da «scrupolosa osservanza delle leggi, benignità, probità». Il saggio di Cacciari racconta l’alchimia e la sua fine, l’alta reputazione di cui godeva la burocrazia, l’età della potenza e della responsabilità e il tempo in cui queste caratteristiche vengono meno, il fallimento della cultura borghedraghi se su cui avevano riposto le speranze Kant, Hegel, Feuerbach e lo stesso Weber. «La crisi della rappresentanza si accompagna al dilagare dell’idea della possibile identificazione tra governo e pubblica opinione». Ed è così che si arriva alla fine della distanza tra governanti e governati, fino all’irrompere sulla scena dell’uno vale uno. «Più si erode la capacità della politica di essere responsabile, più irrompe sulla scena una moltitudine di incompetenti che copre con una vernice di identica politica vaghe passioni, odi, desideri, frustrazioni e risentimenti». È la politica dei vaffaday, delle felpe e delle grida, della delegittimazione perenne tramite social, degli insulti e delle espulsioni dall’aula. Qualcosa, però, nell’ultimo mese è cambiato, l’arrivo di Mario al governo. «Si è compreso che non è necessario sbraitare per essere credibili, per ottenere consenso. La politica può giocare la partita demagogica, ma anche quella dell’autorevolezza. Un primo ministro è autorevole se mantiene le distanze tra sé e gli altri. Questo non ha niente a che vedere con il consenso, basti pensare che secondo i sondaggi oggi Draghi piace all’80 per cento degli italiani». Un ampio consenso e una democrazia comunque in pericolo: «Non può sfuggire che questo appena formato è un altro governo nominato dal presidente della Repubblica senza elezioni. Non è più possibile parlare di crisi, ormai la difficoltà del parlamentarismo sta diventando la norma».
La crisi della rappresentanza si accompagna al dilagare dell’idea della possibile identificazione tra governo e pubblica opinione