Si cucì la bocca al maxiprocesso Arrestato a Torino il boss Turi Ercolano
Già condannato per mafia nel maxiprocesso di Palermo. «Girava armato di pistola»
Girava armato di pistola, e per questo i carabinieri di Torino hanno arrestato Salvatore Ercolano, detto Turi, 71 anni, storico esponente di Cosa Nostra, che nel maggio del 1986 si cucì la bocca con una spillatrice durante il maxiprocesso di Palermo, in segno di protesta. Una scena ripresa anche dall’ultimo film su Buscetta, «Il Traditore».
Salvatore Ercolano ha compiuto 71 anni da poco più di un mese, vive con una pensione minima di 7 mila euro all’anno e deve fare i conti con gravi problemi di salute. Dal 2018 ha ottenuto dall’atc un alloggio popolare nella zona nord di Torino, un bilocale in un prefabbricato di 5 piani dove il suo cognome non compare neppure sul campanello e nessuno sembra conoscere la sua storia. Un passato da boss della mafia catanese che, a 36 anni di distanza dall’ultimo arresto, è ritornato ad allungare le sue ombre su quello che a tutti sembrava un tranquillo pensionato. Del resto è davvero difficile riconoscere in quell’anziano dal passo stanco lo stesso uomo che, nel 1986, si presentò a un’udienza del maxiprocesso contro Cosa Nostra con la bocca cucita, in segno di protesta contro i pentiti. Un episodio che fece scalpore, ripreso anche nel film Il Traditore, sul quale esistono versioni diverse. Qualcuno sostiene che avesse usato una pinzatrice della cancelleria, altri invece raccontano che la bocca fosse stata cucita con ago e filo. Nessun dubbio invece sul contenuto del messaggio diretto al giudice, scritto da Ercolano e letto dal compagno di gabbia: «Mi dica come mi devo difendere. Perché l’unico modo per farlo è la bocca, ma a questa bocca non crede nessuno».
Altri tempi, altra tempra. Dopo oltre 30 anni di carcere di massima sicurezza «Turi» ha più volte scritto di aver «sbagliato» e da, quando è finita la sua sorveglianza speciale non ha mai avuto problemi con la giustizia. Eppure lunedì mattina i carabinieri hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare su richiesta della direzione distrettuale antimafia. L’accusa è di porto e detenzione illegale di armi. Secondo gli investigatori, in alcune intercettazioni Ercolano farebbe riferimento a una pistola in suo possesso che avrebbe portato con sé in più occasioni. I carabinieri non hanno trovato armi, ma il pm Paolo Toso ha comunque chiesto la custodia in carcere, mentre il gip Alessandra Danieli ha optato per gli arresti domiciliari. La sensazione è che, oltre alla detenzione illegale di un’arma, ci possa essere dell’altro. Ercolano, cugino del boss Nitto Santapaola e ritenuto negli anni Ottanta uno degli interlocutori del clan dei catanesi di Torino, sarebbe stato visto nel 2015 in un bar dei fratelli Crea, due degli esponenti della ‘Ndrangheta più attivi del Piemonte prima dell’operazione Big Bang. Strani intrecci, tutti da provare, ma che non riguardano l’interrogatorio di garanzia al quale Ercolano, difeso dall’avvocato Salvo Lo Greco, si sottoporrà oggi.
Di sicuro per Ercolano, riconosciuto colpevole di due omicidi e condannato all’ergastolo con isolamento diurno nel 1998, è un duro colpo. Per anni ha lottato per ottenere la riduzione della sua condanna a 30 anni (abbondantemente superati) e in alcune lettere dal carcere aveva anticipato il suo desiderio di scrivere un libro. Partendo dalla sua infanzia in un quartiere povero fino ad arrivare agli anni del carcere con il regime del 41 bis, passando per il matrimonio, i tre figli e il divorzio: «Crescendo mi sono trovato in una barca che, per non affondare, ho dovuto navigare – raccontava - Forse per ambizione o forse per necessità, non mi è stato facile scendere. Ma, anche volendo, non ho più potuto farlo. Avrei almeno voluto un salvagente, ma non è arrivato, né io sono riuscito a cercarlo».