Aria di mafia a Carmagnola: auto in fiamme e scorta ai politici
E la testimone disse ai pm: «Se faccio quel nome sono morta»
Il processo, in aula bunker, sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta a Carmagnola e dintorni dà l’idea dell’aria che tira in un paese di 30 mila abitanti, nel profondo nord.
Tra auto in fiamme, un assessore sotto scorta, testimoni ai confini della reticenza. Uno disse ai pm: «Se faccio quel nome, sono morta». E ieri ha corretto il tiro: «Un mio modo di dire».
Alle cinque della sera, dentro l’aula bunker delle Vallette, arriva al banco dei testimoni una dirigente del comune di Carmagnola che, fornite le generalità, prima ancora di qualsiasi domanda, parte tutto d’un fiato: «Dico subito che non voglio siano fatte fotografie e che quello che dirò non esca da qui dentro». Al quesito del pm — «perché ha esordito in quel modo?» — si capirà il motivo: «Voglio stare tranquilla». Se per i click c’è la legittima privacy, per tutto il resto siamo (fortunatamente) in un dibattimento pubblico davanti al tribunale di Asti — presidente Alberto Giannone, giudici a latere Claudia Beconi e Beatrice Bonisoli — alle prese con il processo «Carminius-fenice», sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta a Carmagnola e dintorni. Quindi il detto, e ancora più il non detto, danno l’idea dell’aria che tira in un paese di 30 mila abitanti, nel profondo nord. Pessima, tra auto in fiamme, con una frequenza di «autocombustioni» da pubblicare sul Scientific American, un assessore sotto scorta, testimoni ai confini della reticenza. Al di là delle singole (ed eventuali) responsabilità penali che verranno poi provate, davanti all’inchiesta del Gico della guardia di finanza, coordinato dai pm della dda Monica Abbatecola e Paolo Toso.
L’altro incipit da film lo offre la testimonianza di una consulente del lavoro, che vide bruciare due sue macchine nel giro di 40 giorni. A un certo punto, le viene letto un passo del verbale reso il 21 novembre 2018 davanti ai magistrati della dda: «Preferisco non dire il nome di questa persona perché altrimenti sono morta». Pausa, ieri: «Ma è una mia frase tipica, come quando ripeto che se faccio tardi i miei figli mi ammazzano». Ribatte Abbatecola: «Signora, lei era davanti all’antimafia». Risposta: «Lì sono stata sotto torchio». Il giudice Giannone: «Lì, che sono morta, significa che temo conseguenze». Macché: «Ho sbagliato io, in tutta onestà, non ho paura di queste persone». Si parlava di uno screzio con la moglie di Antonino Buono, uno degli imputati (avvocati Salvo Lo Greco e Cesare Palumbo) per il quale si era rotto un pluriennale rapporto professionale. Fatto sta che, il giorno stesso del bisticcio, alle 3 di notte andò in fiamme una Mini e, dopo, una Fiat 600: «Veramente sfortunata», commenta Giannone, alla Nero Wolf. Non è l’unica stranezza, perché ai pm basterà ricordare la testimonianza dell’allora maresciallo dei carabinieri di Carmagnola, su una confidenza da parte della donna: «Io vi dico queste cose qui, ma non le firmerò mai perché ho paura di queste persone». La stessa che ieri resetta: «Non credo proprio di averlo detto. Paura del signor Buono? Ho sempre avuto un buon rapporto». Al vicesindaco Vincenzo Inglese, 75 anni, ex colonnello dell’esercito, bruciò un’auto e un’altra se la ritrovò spostata di peso in mezzo alla strada. Pure a lui, però, nulla risultava: «Mai avuto segnalazioni sulla presenza della ‘ndrangheta, o che qualcuno pagasse il pizzo». Poi c’è un funzionario del comune addetto, tra l’altro, alle premiazioni sportive, al quale va in fiamme una macchina. Da subito non ha sospetti. Dopo, ne orecchia forse uno: «Il tarlo c’è stato quando i colleghi di ufficio mi dissero “magari è per la figlia di Buono”. Anche se a me sembrava assurdo». Solo perché la giovane non era stata premiata. Gli stessi colleghi — di cui fa i nomi — sostenevano che quel signore «vivesse ai margini della legalità». Distrutte dalle fiamme anche due auto dell’assessore Alessandro Cammarata, che si è costituito parte civile (avvocato Gian Mario Ramondini) e che da quasi tre anni vive sotto tutela: «Una mattina un ragazzo che conoscevo mi fermò: “Guarda che Tonino Buono è arrabbiato con te, ma gli ho detto che sei amico mio”». Però, pure lui non indagò mai sul perché: «Pensai che, con certi personaggi, non era il caso di entrare nel dettaglio».