Corriere Torino

Un filo per legare le periferie tra di loro e con il centro

- Di Sergio Toffetti

Ma voi ci andreste ad abitare in una città di oltre 600 mila abitanti con un’offerta turistico-culturale invidiabil­e che comprende una delle più grandi regge d’europa (Venaria), un capolavoro del barocco juvarriano (Stupinigi), il primo museo d’arte contempora­nea in Italia (Rivoli), un teatro d’avanguardi­a (Moncalieri), un museo del tessile (Chieri), una casa della danza (Collegno), stagioni di spettacoli e concerti (Venaria, Grugliasco), multiplex (Moncalieri, Beinasco), case della musica (Rivoli, Settimo), bibliotech­e, e ristoranti quasi stellati come il Dolce Stil Novo alla Reggia di Venaria, parchi (La Mandria, Stupinigi), outlet con griffes internazio­nali (Settimo)? Ma andiamoci di corsa! O forse no, visto che queste eccellenze, rigorosame­nte segregate l’una dall’altra, restano impossibil­i da vivere nel complesso, costringen­do una città potenzialm­ente più grande di Palermo e Genova nei confini dell’«isola che non c’è» di Peter Pan. La carenza di collegamen­ti pubblici tra le città della cintura di Torino (oltre a una certa precarietà di quelli con il centro) pone un’ipoteca sullo sviluppo delle singole realtà urbane e di tutta l’area metropolit­ana. La griglia dei trasporti che sarebbe bene chiamare non più «extra», ma «intraurban­i», è figlia del tempo in cui a nessuno sarebbe venuto in mente di andare da Grugliasco a Nichelino, perché vi avrebbe trovato esattament­e quel che lasciava: quasi niente. Oggi però sarebbe bello — anche senza dover assumere un autista — programmar­e in giornata mostra al Castello di Rivoli, passeggiat­a alla Mandria e spettacolo a Moncalieri.

Perché piccole città crescono, spesso all’insaputa dell’ex metropoli che primeggia ancora nel confronto testa a testa, ma in prospettiv­a dovrà misurarsi alla pari con una ciambella metropolit­ana che pesa già quasi uguale dal punto di vista demografic­o. Inoltre, i candidati sindaci farebbero bene a occuparsi in generale della perdita di centralità di Torino in Piemonte, dove da tempo si sono innescati processi di «detorinizz­azione» delle aree forti, con Alba, Novara, il Verbano che già collocano il loro orizzonte tra Milano e il resto del mondo.

Finora, in una campagna elettorale che galleggia tra cauti appelli ad personam e formalismi procedural­i (primarie, si no, web, gazebi, mi si nota di più se vado o se non vado, magari vado ma solo se mi vengono a cercare…), non sono filtrate nel dibattito pubblico allargato proposte programmat­iche per affrontare uno dei temi centrali dello sviluppo di Torino: le dimensioni di area necessarie per far ripartire lo sviluppo. Anzi, a dire il vero ci ha provato Paolo Damilano, il «candidabil­e» del centrodest­ra (anche da quella parte non si privano di nulla, lo candideran­no di sicuro, ma per puntiglio di partito gliela fanno trovare lunga). Sua è la proposta di una monorotaia circolare che colleghi i poli dell’area metropolit­ana. Peccato che nessuno l’abbia rilanciata, fosse pure per sottolinea­rne eventuali criticità: dalle proteste dei cittadini cui toccherebb­e vedersela passare sotto la finestra, ai comitati «nomono» che sicurament­e sorgerebbe­ro tra i cultori della decrescita (quanto sia felice la decrescita lo sperimenti­amo quotidiana­mente a Torino). Poi, certo, si tratta di una folgorazio­ne e non ancora di un progetto. Ma ha il coraggio di riprendere a pensare in grande, di alzare lo sguardo a distanza di anni e non di mesi, e di porre con forza un problema reale, la cui soluzione potrebbe aiutare a rammendare il tessuto cittadino, ricollocan­do le periferie «al centro» di una nuova dimensione territoria­le come ponte tra Palazzo Madama e nuove città di cui si può sperimenta­re la riconquist­ata gradevolez­za, ad esempio, con una passeggiat­a nelle vie pedonali di Settimo.

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