Un filo per legare le periferie tra di loro e con il centro
Ma voi ci andreste ad abitare in una città di oltre 600 mila abitanti con un’offerta turistico-culturale invidiabile che comprende una delle più grandi regge d’europa (Venaria), un capolavoro del barocco juvarriano (Stupinigi), il primo museo d’arte contemporanea in Italia (Rivoli), un teatro d’avanguardia (Moncalieri), un museo del tessile (Chieri), una casa della danza (Collegno), stagioni di spettacoli e concerti (Venaria, Grugliasco), multiplex (Moncalieri, Beinasco), case della musica (Rivoli, Settimo), biblioteche, e ristoranti quasi stellati come il Dolce Stil Novo alla Reggia di Venaria, parchi (La Mandria, Stupinigi), outlet con griffes internazionali (Settimo)? Ma andiamoci di corsa! O forse no, visto che queste eccellenze, rigorosamente segregate l’una dall’altra, restano impossibili da vivere nel complesso, costringendo una città potenzialmente più grande di Palermo e Genova nei confini dell’«isola che non c’è» di Peter Pan. La carenza di collegamenti pubblici tra le città della cintura di Torino (oltre a una certa precarietà di quelli con il centro) pone un’ipoteca sullo sviluppo delle singole realtà urbane e di tutta l’area metropolitana. La griglia dei trasporti che sarebbe bene chiamare non più «extra», ma «intraurbani», è figlia del tempo in cui a nessuno sarebbe venuto in mente di andare da Grugliasco a Nichelino, perché vi avrebbe trovato esattamente quel che lasciava: quasi niente. Oggi però sarebbe bello — anche senza dover assumere un autista — programmare in giornata mostra al Castello di Rivoli, passeggiata alla Mandria e spettacolo a Moncalieri.
Perché piccole città crescono, spesso all’insaputa dell’ex metropoli che primeggia ancora nel confronto testa a testa, ma in prospettiva dovrà misurarsi alla pari con una ciambella metropolitana che pesa già quasi uguale dal punto di vista demografico. Inoltre, i candidati sindaci farebbero bene a occuparsi in generale della perdita di centralità di Torino in Piemonte, dove da tempo si sono innescati processi di «detorinizzazione» delle aree forti, con Alba, Novara, il Verbano che già collocano il loro orizzonte tra Milano e il resto del mondo.
Finora, in una campagna elettorale che galleggia tra cauti appelli ad personam e formalismi procedurali (primarie, si no, web, gazebi, mi si nota di più se vado o se non vado, magari vado ma solo se mi vengono a cercare…), non sono filtrate nel dibattito pubblico allargato proposte programmatiche per affrontare uno dei temi centrali dello sviluppo di Torino: le dimensioni di area necessarie per far ripartire lo sviluppo. Anzi, a dire il vero ci ha provato Paolo Damilano, il «candidabile» del centrodestra (anche da quella parte non si privano di nulla, lo candideranno di sicuro, ma per puntiglio di partito gliela fanno trovare lunga). Sua è la proposta di una monorotaia circolare che colleghi i poli dell’area metropolitana. Peccato che nessuno l’abbia rilanciata, fosse pure per sottolinearne eventuali criticità: dalle proteste dei cittadini cui toccherebbe vedersela passare sotto la finestra, ai comitati «nomono» che sicuramente sorgerebbero tra i cultori della decrescita (quanto sia felice la decrescita lo sperimentiamo quotidianamente a Torino). Poi, certo, si tratta di una folgorazione e non ancora di un progetto. Ma ha il coraggio di riprendere a pensare in grande, di alzare lo sguardo a distanza di anni e non di mesi, e di porre con forza un problema reale, la cui soluzione potrebbe aiutare a rammendare il tessuto cittadino, ricollocando le periferie «al centro» di una nuova dimensione territoriale come ponte tra Palazzo Madama e nuove città di cui si può sperimentare la riconquistata gradevolezza, ad esempio, con una passeggiata nelle vie pedonali di Settimo.