Processo ultrà, scintille in aula tra il legale Juve e l’ex pm Figc
Le prime domande al testimone della difesa, sono «per rasserenare subito il clima», dice l’avvocato Luigi Chiappero, per la Juve, parte civile nel processo «Last Banner», sulle presunte estorsioni dei gruppi ultrà al club: e sono scintille con l’ex procuratore della Federcalcio ed ex prefetto Giuseppe Pecoraro — il teste appunto — chiamato a parlare dell’inchiesta sportiva del 2016 per l’illegittima cessione di biglietti e chiusa con pene pecuniarie a società e Andrea Agnelli. Pecoraro: «Si escluse la pista estorsiva, non c’erano segnali». Chiappero ribatte leggendo sentenze e dichiarazioni di Pecoraro alla commissione Antimafia: «La Juve era finita subordinata agli ultrà, era ricattabile». L’ex prefetto esplode: «Non confermo. Avvocato, non cambiamo le carte in tavola, io feci una discussione giuridica, sulla responsabilità oggettiva». E ancora: «Si trovò a pagare dazio con soggetti con cui si era messa a tavolino, persone non particolarmente gentili. Avete mai fatto denuncia? No, di che parliamo». È stata fatta ora ed è per questo che siamo qui, dice nella sostanza il presidente, Roberto Arata. Vero — si sta parlando di indagini e anni diversi — ma «la battuta» fa arrabbiare gli avvocati Giuseppe Del Sorbo e Davide Richetta, che già avevano chiesto la ricusazione del giudice. Da ieri di nuovo in essere, dopo che la Cassazione ha sbriciolato la decisione della corte d’appello: «Provvedimento emesso senza contradditorio e non immune da sviste (i difensori sono indicati come imputati)». L’amarcord di Pecoraro — autore già nel 2017 di una rumorosa gaffe su Agnelli, davanti all’antimafia — innesca altre citazioni, dei pm dell’inchiesta del 2016, Monica Abbatecola e Paolo Toso: «Non ci fu neanche il fumus dell’estorsione, la Juve non ebbe danno economico». Chiusura con le dichiarazioni spontanee di due imputati, Umberto Toia e Corrado Vitale — difesi dall’avvocato Monica Arossa — che si sono detti delusi da Pairetto (il dirigente Juve che li denunciò) e dagli agenti della Digos, che ben conoscevano e che fecero le indagini (pm Chiara Maina) e il blitz all’alba: «Tutti ci dissero che non c’entravamo nulla».