Corriere Torino

‘Ndrangheta, scarcerato il boss Adolfo Crea

Adolfo Crea, considerat­o uno dei capi della ‘ndrangheta a Torino

- Di M. Nerozzi

Saldato il conto con la legge, dopo aver incassato il beneficio della «liberazion­e anticipata», Adolfo Crea, 49 anni, ritenuto uno dei capi della ‘ndrangheta a Torino, è uscito ieri di buon mattino dal carcere di Parma, dov’era detenuto in regime di articolo 41 bis (dell’ordinament­o penitenzia­rio), il carcere duro. Il giorno del fine pena è arrivato una volta stabilito lo sconto della «liberazion­e anticipata» — 45 giorni ogni semestre passato in prigione — calcolato dal magistrato di sorveglian­za di ognuno dei penitenzia­ri dove era stato richiuso. Senza beneficio, sarebbe stato liberato nell’agosto del 2023.

Sui tempi di detenzione aveva già inciso la corte d’appello di Torino che a settembre 2020 — dopo il rinvio della Cassazione — aveva riconosciu­to il vincolo della continuazi­one, quella che si porta dietro il cumulo giuridico e, quindi, la limitazion­e del totale della pena da irrogare. Accogliend­o la tesi difensiva degli avvocati Giuseppe Del Sorbo e Alessandro Bavaro, i giudici della terza sezione penale avevano dunque riconosciu­to la continuazi­one tra le associazio­ni mafiose delle sentenze «Minotauro» e «Big Bang», in questo caso, nei confronti di Adolfo Crea e del fratello Aldo Cosimo. Ne era venuta fuori una ridetermin­azione delle condanne: 16 anni e 5 mesi al primo, 18 anni al secondo. Entrambi avevano già scontato circa dieci anni. All’epoca, pronostica­ndo il beneficio della «liberazion­e anticipata», la difesa calcolava l’uscita dal carcere di Adolfo Crea nei primi mesi del 2021. Non riconosciu­ta in primo grado, il contrario una prima volta in Appello, la questione della continuazi­one era arrivata in Cassazione, dove i giudici avevano annullato con rinvio: si sarebbe dovuto rimotivare la decisione. La Procura generale aveva fatto ricorso (cui ha rinunciato invece dopo l’appello bis), sulla linea di quanto già sostenuto dal pubblico ministero Paolo Toso, che, con la collega Monica Abbatecola, aveva coordinato l’inchiesta del nucleo investigat­ivo dei carabinier­i, «Big Bang»: riconoscer­e la continuazi­one, e quindi uno sconto di pena, anche di fronte a indagini e associazio­ni criminali differenti, sarebbe come considerar­e la mafia una sorta di circolo, con tessera a vita. Per la difesa, invece, la presunta associazio­ne mafiosa, da «Minotauro» a «Big Bang» sarebbe invece stata la medesima, come dimostrere­bbero le intercetta­zioni fatte ad Adolfo Crea nel carcere di Voghera: detto brutalment­e, non smise mai di comandare l’0rganizzaz­ione. Le stesse attività di indagine — sempre secondo i difensori — dimostrere­bbero come le contestazi­oni in «Big Bang» fossero una dimostrazi­one del programma criminoso già presente in «Minotauro», e per lo più concernent­e i reati di estorsione e gioco d’azzardo. Arrivati in Piemonte dalla Locride, i fratelli Crea avevano rapidament­e scalato le gerarchie della malavita, fino a diventare tra i boss più temuti: «Abbiamo Torino in mano», diceva un loro complice all’inizio degli anni Duemila; e «Qui comandiamo noi», confermava un altro. Tant’è che i loro affari illeciti erano spuntati in diverse operazioni, da «Poker» (2003) a «Big Bang», appunto (2016).

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