Questa è una sfida che deve coinvolgere tutti i cittadini
Era finito da qualche giorno l’anno da capitale mondiale del libro, era stato appena inaugurato il nuovo Museo Egizio, e stava per aprire la Reggia di Venaria Reale restaurata in tempi record. Nell’estate si sarebbe festeggiato il nuovo modello della 500 e in autunno ci sarebbe stata la presentazione di Torino prima World Design Capital. Il piano strategico della città aveva dato i suoi frutti. La disoccupazione era scesa del 12 al 4% e in particolare era cresciuta l’occupazione femminile. Avevano contribuito a questo eccezionale sforzo non solo due sindaci e due presidenti di regione con tutte le loro amministrazioni, ma una coalizione super partes fatta da oltre 130 soggetti, circa 2000 persone che in posizione di direzione dei loro singoli enti avevano individuato un percorso preciso fatto di 20 obiettivi e 84 azioni, di cui ben 79 realizzate in meno di 5 anni. Sono passati quindici anni è Torino è di nuovo «in mezzo al guado». Lo dice il Rapporto Rota, ma lo sentono tutti i cittadini. Fino a qualche mese fa, prima della pandemia, questo sentimento depressivo era diffuso. Poi è arrivato il Covid, e qualcosa di locale è diventato globale. In questi giorni in cui i vaccini e le buone pratiche ci consentono di tornare ad una vita quasi normale, si sente in città un nuovo entusiasmo. Non è motivato se non dalla possibilità di fare qualcosa che prima era ordinario, ed è diventato eccezionale. Dobbiamo approfittare di questo slancio, e farlo diventare massa critica per un rilancio strutturale della nostra città dell’area metropolitana e del Nord Ovest. La nomina a sede della Universiadi per il 2025, che si integra perfettamente con i cinque anni in cui Torino ospiterà ogni novembre le ATP Finals, ci offre una potente direzione. So che qualcuno sarà scettico, e che qualcuno lo darà per scontato. Succede sempre così. Ma suggerisco di toglierci questa attitudine, che ci ha portato a sottovalutare quanto è accaduto tra il 1998 e il 2008 fino a che, dieci anni dopo, abbiamo cominciato a rimpiangerlo. Come dimostrano numerosi report dell’ocse (l’ultimo è del giugno 2020) le città si nutrono di eventi. Quando (dopo tanto tempo, di nuovo) plaudiamo alla reputazione degli amici milanesi non possiamo far altro che notare la vivacità della città meneghina in termine di fiere, manifestazioni, mostre, dibattiti internazionali. La ricchezza dei nostri taxisti e dei nostri albergatori è anche la nostra; il rilancio del centro fieristico fa bene anche a chi di fiere non si occupa. Lo sport è un meraviglioso traino per tutto ciò. Innanzitutto in chiave simbolica: essere cittadini che fanno più sport va a vantaggio della salute, riduce le spese in sanità, rende la città di per sé più attiva e perfino più sicura. Ma lo sport universitario ha una seconda, fondamentale peculiarità; consente di indirizzare la nostra comunicazione di territorio ad attirare quanto c’è di più prezioso al mondo: talenti! Noi dobbiamo volere il maggior numero di talenti possibile per il rilancio non solo della città ma anche del territorio cosiddetto di metromontagna. Le sedi alpine, in particolare quelle del pinerolese, sono densissime di imprese ad alto valore aggiunto, sia nel mondo della tecnologie, nella logistica, nel settore rifiuti e nel settore food. Non ho qui spazio per entrare nel merito dell’impatto che potranno avere 40 milioni di euro in spesa corrente e 85 in spesa da conto capitale. Propongo invece che su questa opportunità si trovi a riflettere al più presto non solo il mondo dello sport e dell’università ma soprattutto quello delle imprese, della cultura e ovviamente quello del turismo. Arriviamo un anno prima delle Olimpiadi di Milano Cortina 2026, abbiamo una occasione unica per costruire relazioni concrete che una certa politica ha rifiutato. Il ciclo di investimenti che si apre con il PNRR e con la programmazione europea può essere messo a sistema e fare di Torino2025 il motore di una visione strategica ben più ampia. Al lavoro!