Il lockdown ha il colore delle cinque rose di Jennifer
Al Gobetti da martedì arriva lo spettacolo di Gabriele Russo
La solitudine, la radio come unico contatto con la realtà mentre all’esterno, in una Napoli indefinita e per questo più facilmente adattabile alla vita di ognuno, scorrono fatti di cronaca nera. Si sviluppa così «Le cinque rose di Jennifer», in scena da martedì al Teatro Gobetti (ore 19.30) per la regia di Gabriele Russo, nella stagione del Teatro Stabile.
Jennifer è un travestito che si inserisce nella tradizione dei «femminielli», protagonista del testo di Annibale Ruccello, scritto nel 1980. A interpretarla sarà Daniele Russo, sul palco insieme a Sergio Del Prete (nei panni di Anna, un altro travestito). «Abbiamo raccontato una persona che ha una relazione complessa con il suo corpo e la sessualità — racconta il regista — ma che cerca la sua strada in un mondo immaginario». La scena è un’esplosione di oggetti che descrivono l’appartamento di Jennifer, segnati dallo stile kitsch, dall’estetica che sopperisce a certe mancanze emotive. La protagonista vive una giornata simile a tante altre, all’interno di una routine fatta di reclusione — in buona parte imposta dall’emarginazione sociale che subisce — spezzata dalle notizie radiofoniche: si dà la caccia a un killer di travestiti, che sul luogo del delitto lascia cinque rose come «firma». Fiori che compaiono anche nella casa di Jennifer per instillare il dubbio: è lei il killer? È un sogno?
«Quando abbiamo interrotto gli spettacoli a causa della pandemia — rivela Gabriele Russo — c’è stato un momento in cui sentivo analogie fortissime con quello che vive Jennifer, immaginando chi stesse vivendo il lockdown in totale solitudine». Jennifer riempie il vuoto e il silenzio con i rumori della vita quotidiana, le pagine di un giornale che vengono sfogliate, un pacchetto di cibo che viene aperto. E poi la musica, «Se perdo te» di Patty Pravo cantata più volte, insieme ad altri brani degli anni Sessanta e Settanta. Le voci di Orietta
Berti, di Mina, personaggi che arrivano nelle case soprattutto grazie alla televisione. «In Ruccello c’è un rapporto ricorrente con la tv generalista. Jennifer è anche un’inguaribile sognatrice — aggiunge Russo —, la sua giornata è appesa al filo delle emozioni legate all’amore. Ha uno sguardo che va oltre, è come se stesse sempre fantasticando». Un mezzo che amplifica i sogni, quello televisivo (ma anche il cinema ricorre in Ruccello), e che contrasta con il digitale di oggi, talmente vicino da dissolvere l’aura mitica. La questione è più complessa.
«Forse è la duplice faccia del digitale — commenta il regista — che da un lato è virtuale, dall’altro avvicina le persone: è la sua grande contraddizione». «Le cinque rose di Jennifer» aveva debuttato nel 2019 al Teatro Bellini di Napoli (che produce l’opera), dove Gabriele Russo è co-direttore artistico, poi sarebbe dovuto andare a Milano ma è arrivato il Covid. L’evento di Torino è quindi il primo fuori da Napoli, da cui arriva l’opera di un drammaturgo ancora poco conosciuto al grande pubblico ma già considerato fondamentale.
Gabriele Russo «D’è stato un momento in cui sentivo analogie con quello che vive Jennifer»