Finisce l’avventura di Nesta Italia Addio all’hub europeo del terzo settore
Compagnia verso un nuovo ente strumentale nel sociale per assorbirne progetti e personale
Era sbarcata in città promettendo di rivoluzionare il terzo settore con l’approccio anglosassone delle grant making foundations, tanto che aveva coinvolto anche Compagnia di San Paolo. Gli ingredienti buoni c’erano tutti: un team giovane, curriculum internazionali, tante idee, promesse di collaborazione con un milieu di lunga storia. Niente. Dopo tre anni Nesta Italia dice addio a Torino e al sogno di creare sotto la Mole il riferimento europeo del nuovo sociale.
La data in agenda è cerchiata con il rosso: il 16 giugno il cda di Nesta Italia si riunirà per deliberare la messa in liquidazione dello spin-off italiano, nato nel 2017 come fondazione con un capitale iniziale di 100 mila euro stanziato da Nesta Uk e poi finanziato per un triennio dall’ente di corso Vittorio, azionista di Intesa Sanpaolo, che in quanto partner ha erogato 400 mila euro all’anno. Soldi bruciati. E ne serviranno altri per estinguere lo spin-off, saldare eventuali debiti e pagare i Tfr: si parla di qualche centinaio di migliaio di euro che verranno divisi equamente tra Nesta Uk e Compagnia. Il rosso non è preoccupante, anche qui le voci sussurrano qualche centinaio di migliaia di euro.
Nesta Italia puntava a replicare il modello della charity britannica nata nel 1998 da una dote della lotteria nazionale e che negli ultimi vent’anni ha attuato l’innovazione sociale grazie alla tecnologia per sostenere i settori che ne compongono l’acronimo (Nesta sta infatti per National Endowment for Science, Technology and the Arts). Un esempio su tutti: ha collaborato con l’istituto Alan Turing in un progetto che usasse il machine learning per scremare l’eccesso di informazione nella piattaforme di voto e partecipazione democratica. A dirigerla dal Regno Unito era stato chiamato Marco Zappalorto (che ora avrebbe trovato un altro incarico), nel cda invece figurano il professor Mario Calderini; Marco Demarie, direttore Pianificazione, studi e valutazione di Compagnia; nel comitato di indirizzo Francesca Bria, già responsabile smart city del Comune di Barcellona e oggi a capo di Cdp Venture capital, e Benedetta Arese Lucini, ex manager Italia di Uber e fondatrice dell’app di risparmio Oval.
Ma con la Brexit Nesta Uk ha deciso assieme al governo di cambiare piano strategico e di riorientare le proprie attività all’interno del Regno Unito a svantaggio di un’operatività più internazionale. Nel 2019 poi era cambiato il chief executive, Geoff Mulgan era stato sostituito da Ravi Gurumurthy che sarebbe stato l’alfiere di questo approccio più «sovranista» (entrambi sono nel cda e consiglio di indirizzo di Nesta Italia). L’altra causa della chiusura dello spinoff italiano è purtroppo ancora una volta il Covid. La pandemia ha fatto saltare tutti i paradigmi di assistenzialismo a cui eravamo abituati: non è più il tempo dell’innovazione sociale leggera, servono approcci nuovi che aiutino a superare le nuove difficoltà nate con l’emergenza sanitaria ed economica. Il discorso vale anche per le competenze dello staff che ha composto Nesta Italia. E così anziché tenere in vita una startup con il respiratore si è presa la decisione di chiuderla. Ma in pancia ci sono buoni programmi europei da portare a casa. Ragion per cui in Compagnia si sta ragionando sul ridisegno della partecipazione
La causa La Brexit ha spinto la casa madre a un approccio meno internazionale
in Social Fare, il centro per l’innovazione sociale guidato da Laura Orestano, e farne un ente strumentale al pari di Fondazione 1563 e Links Foundation per poi aggregare quel che resterà di Nesta, progetti inclusi, ricollocando al proprio interno o nel perimetro di corso Vittorio dedicato alla filantropia i cinque ragazzi che vi finora vi hanno lavorato.