«Così immagino la realtà»
Cinema e impegno: Giordana parla del suo libro «Immaginare la realtà»
Immaginare la realtà, ovvero l’idea di cinema di Marco Tullio Giordana in uno stimolante volumetto edito da Gruppo Abele. Il regista milanese lo presenterà domani a Torino alle 20.30 nella sede di Volere La Luna in via Trivero 16, con il critico Edoardo Peretti, e il giorno seguente alle 18.30 con Marco Ponti al Parco Alveare Verde di corso Laghi 100 ad Avigliana, in un evento targato Valsusa Film Fest. Una «piacevole due giorni piemontese» che offre a Giordana il pretesto per ricordare le sue radici familiari su cui il libro si sofferma ampiamente: «Il mio bisnonno era nato a Cuneo —racconta —, era un ufficiale dei carabinieri che fu inviato a Crema dove si stabilì. Anche suo figlio, mio nonno paterno, percorse la carriera militare affiancandola a quella di giornalista e dopo il 25 luglio 1943 fu chiamato a dirigere La Gazzetta del Popolo. Ma durò poco. L’8 settembre fu costretto a riparare in Val Chisone dove si aggiunse a una formazione partigiana composta in gran parte dai suoi ex soldati».
Cosa ricorda delle sue origini cinematografiche?
«Riflettendoci, furono piemontesi anche quelle. Roberto Faenza è un regista di grande eclettismo per cui proverò una riconoscenza eterna; accettandomi come assistente in Forza Italia, film satirico di puro montaggio, mi fece entrare nel mondo del cinema. Girai un’unica scena “rubata” dal vivo con un malinconico Aldo Moro nella sede della Dc. Pochi mesi dopo fu rapito e ucciso, momento tragico che mi rese adulto facendomi abbandonare per sempre alcune sacche di ambiguità ideologica».
Tra gli aneddoti riportati nelle sue pagine, ci racconta quello su Flavio Bucci?
«Maledetti vi amerò fu il mio esordio e con quel film vincemmo a Locarno. Bucci era reduce dal successo di Ligabue, io uno sprovveduto senza nemmeno una formazione alle spalle. Ricordo ancora il primo ciak: Flavio che guarda in macchina e saluta con la mano. “Che fai?” gli chiesi. “Faccio ciao al film” mi rispose. Lo rincontrai per caso nel 2018, proprio a Torino. Fu come risolvere un nodo; lo ringraziai per avermi dato fiducia in quell’occasione e sono felice di averlo fatto prima che ci lasciasse».
Una parola sul torinese Roberto Forza?
«Il mio stimatissimo direttore della fotografia si è formato nella scuola dei reportage e lo conobbi sul set de I cento passi. Arrivò in moto, altra mia passione, e parlammo solo di quello. La sua tecnica la apprezzai dopo; la nobiltà d’animo, invece, mi arrivò immediatamente».
Cosa ricorda della Torino de La meglio gioventù?
«Girammo per molti mesi al Quadrilatero, luogo molto diverso da oggi, ed ero felice di frequentare una città “di famiglia” che noi milanesi conosciamo superficialmente. Ricordo il disorientamento che la sua razionalità mi provocava, abituato com’ero alla struttura a chiocciola della mia città».
Libera e Valsusa Film Fest. Cosa sa delle istituzioni che la ospiteranno?
«Sono simboli nella lotta alle mafie e a favore dell’ambiente. Al primo argomento ho dedicato parte del mio cinema. Per il resto, la natura è l’unico luogo dove sia concepibile una militanza».
Se ne dovrebbe occupare la politica?
«Il mio terrore è che se ne occupi la destra. Ma ancor più che lo faccia la sinistra. Penso piuttosto che la natura non debba mai essere strumentalizzata. Mi chieda di mobilitarmi per un albero e lo farò, ma non facciamolo diventare il solito pretesto per azzuffarci. Forse è questo l’unico consiglio di un settantenne, senza nessun’altra certezza se non quella del dubbio».
Anche se il suo cinema è permeato da rigore storico e oggettività?
«Da ragazzo sono stato folgorato da Blow-up eda La strategia del ragno; due film che parlano di incertezze e dissolvenza della realtà. Chissà, forse ho solo inconsapevolmente reagito a quel magico imprinting che mi aveva fatto innamorare del cinema».
❞ Le origini e i film Per me tutto è iniziato in Piemonte: gli avi cuneesi, la prima scena con Faenza e «La meglio gioventù»