Grandi Eventi, tre tipi a Torino Ora toccherà al nuovo sindaco
Dalle casse piene di Chiamparino a Lo Russo e Damilano
Sabato è iniziato il Torino Jazz Festival, una delle manifestazioni comunali che vengono correntemente narrate dall’amministrazione come «grandi eventi». Si pone tuttavia, in occasione di tali storytelling civici, una questione semantica: che cosa significa esattamente, a Torino, “Grande Evento”? (uso le maiuscole perché, a Torino, il Grande Evento è un concetto filosofico, tipo la Volontà di Potenza, il Pensiero Debole o il New Realism: direi soprattutto Pensiero Debole o, più newrealisticamente, Volontà di Potenza sfigata).
Sabato è iniziato il Torino Jazz Festival, una delle manifestazioni comunali che vengono correntemente narrate dall’amministrazione come «grandi eventi». Si pone tuttavia, in occasione di tali storytelling civici, una questione semantica: che cosa significa esattamente, a Torino, “Grande Evento”? (uso le maiuscole perché, a Torino, il Grande Evento è un concetto filosofico, tipo la Volontà di Potenza, il Pensiero Debole o il New Realism: direi soprattutto Pensiero Debole o, più newrealisticamente, Volontà di Potenza sfigata).
Finora Torino ha sperimentato tre modelli di Grande Evento.
Il primo fu quello dell’era di Alfieri e Chiamparino, la grandeur vera, supportata — almeno in una prima fase — da fiumi di denaro: allorquando, per intenderci, spendevamo per «Gli ultimi giorni dell’umanità» ronconiani pressapoco l’equivalente dell’attuale bilancio annuo dello Stabile. Quel modello pre-olimpico si esaurì con l’esaurirsi dei soldi, e oggi non sarebbe replicabile, se pure fosse utile replicarlo: il che non è scontato.
Abbiamo quindi sperimentato la grandeur posticcia di Fassino e del povero Braccialarghe: in mancanza di soldi (e soprattutto di cervelli) per costruire autentici Grandi Eventi, si definirono «Grandi Eventi» eventi che grandi grandi proprio non erano. Grandini, semmai. Tipo vorrei ma non posso. Un po’ come accade con l’inquinamento al mare: se l’acqua è sporca, si cambiano i parametri di tolleranza dei colibatteri e voilà, l’acqua è di nuovo balneabile. Esemplare fu il killeraggio di Traffic — l’unico Grande Evento musicale di richiamo europeo che Torino abbia mai avuto — rimpiazzato da pur decenti festival come il Tjf o Todays la cui attrattività difficilmente oltrepassa le Alpi e il Ticino. Ma la narrativa comunale diceva alla marchesa che tutto andava ben, e tutti erano felici e soddisfatti. Beh, quasi tutti.
Appendino ha seguito un percorso ondivago. Dapprima, nell’ebbrezza ideologica dell’inatteso trionfo, ha fulminato i Grandi Eventi fassiniani rei di togliere spazio visibilità e soprattutto contributi all’associazionismo e alla «cultura di base»: una “base” che largamente s’identificava con la base elettorale dell’appendino medesima. Quando però la Nostra ha scoperto che la cultura di base, da sola, non porta turisti né giro d’affari né visibilità, ha affannosamente tentato di recuperare ed è passata in modalità-fassino. Maldestramente, però, ed esagerando: per cui sono stati promossi a Grandi Eventi non soltanto il Tjf e Todays, ma pure le esibizioni dei maghi, il volo dei droni, i cioccolatai in via Roma e quattro bancarelle di salumi in piazza Carlo Alberto.
Mi domando come intendano declinare il concetto Lo Russo e Damilano. Finora i candidati a sindaco hanno affrontato il tema della Cultura perlopiù di sguincio: dichiarando ovviamente l’ovvio, e cioè che la Cultura è essenziale e con loro al comando la cultura a Torino rifiorirà. Quanto al «come» rifiorirà, entrambi restano ancora un po’ nel vago, salvo affermare — concordi almeno su un punto — l’importanza dei «Grandi Eventi», la cui valenza anche turistica ed economica è indiscutibile e irrinunciabile eccetera eccetera eccetera.
Se ho ben compreso, il candidato del centrosinistra punta su un cauto cerchiobottismo, ribadendo la necessità e centralità dei Grandi Eventi — anche nella prospettiva di una Torino Capitale europea della Cultura nel 2033 — ma non a scapito della «cultura diffusa» (e dei relativi voti che l’altra volta s’intascò Appendino). Quanto ai soldi necessari per cerchiobottare, Lo Russo è ottimista: immagina che si possano reperire anche «con strumenti come il crowdfunding». Auguroni. E comunque, dice, «quando ci sono le idee, i soldi si trovano». Vasto e ambizioso programma sarà trovare le idee e i relativi cervelli.
Dal canto suo il candidato del centrodestra ha fatto un’abile mossa convocando una mezza dozzina di operatori culturali, non necessariamente d’area, per chiedere suggerimenti; è sempre meglio dar retta a chi sa, anziché credere di sapere. Pubblicamente, al momento Damilano ha espresso l’intenzione di far dei Grandi Eventi i «brand ambassadors» di Torino. Suppongo che, tradotto, voglia dire che il Salone del Libro, o che so, Artissima, dovranno far conoscere nel mondo il nome di Torino: forse finora hanno fatto conoscere quello di Casalpusterlengo. Inoltre Damilano, tuttora ben ancorato alla poltrona di presidente della Film Commission, prospetta come Grande Evento della sua «Torino Bellissima» una «cinema week con attori e registi». Bisognerà però avvertire il presidente di Film Commission che la «cinema week» a Torino già ce l’abbiamo, e si chiama Tff, Torino Film Festival. Se poi pretendiamo manifestazioni di piazza, bagni di folla e attori e registi da red carpet e rotocalco, come alla Festa del Cinema di Roma, beh, ci vuol niente: basta ottenere anche noi le milionate di finanziamenti che ricevono quelli di Roma. Un altro vasto e ambizioso programma.
Fu quello dell’era di Alfieri e Chiamparino, la grandeur vera, supportata da fiumi di denaro Con Fassino e Braccialarghe si definirono «Grandi Eventi» eventi «grandini» Appendino ha puntato sulla cultura di base