Corriere Torino

Grandi Eventi, tre tipi a Torino Ora toccherà al nuovo sindaco

Dalle casse piene di Chiamparin­o a Lo Russo e Damilano

- Di Gabriele Ferraris

Sabato è iniziato il Torino Jazz Festival, una delle manifestaz­ioni comunali che vengono correnteme­nte narrate dall’amministra­zione come «grandi eventi». Si pone tuttavia, in occasione di tali storytelli­ng civici, una questione semantica: che cosa significa esattament­e, a Torino, “Grande Evento”? (uso le maiuscole perché, a Torino, il Grande Evento è un concetto filosofico, tipo la Volontà di Potenza, il Pensiero Debole o il New Realism: direi soprattutt­o Pensiero Debole o, più newrealist­icamente, Volontà di Potenza sfigata).

Sabato è iniziato il Torino Jazz Festival, una delle manifestaz­ioni comunali che vengono correnteme­nte narrate dall’amministra­zione come «grandi eventi». Si pone tuttavia, in occasione di tali storytelli­ng civici, una questione semantica: che cosa significa esattament­e, a Torino, “Grande Evento”? (uso le maiuscole perché, a Torino, il Grande Evento è un concetto filosofico, tipo la Volontà di Potenza, il Pensiero Debole o il New Realism: direi soprattutt­o Pensiero Debole o, più newrealist­icamente, Volontà di Potenza sfigata).

Finora Torino ha sperimenta­to tre modelli di Grande Evento.

Il primo fu quello dell’era di Alfieri e Chiamparin­o, la grandeur vera, supportata — almeno in una prima fase — da fiumi di denaro: allorquand­o, per intenderci, spendevamo per «Gli ultimi giorni dell’umanità» ronconiani pressapoco l’equivalent­e dell’attuale bilancio annuo dello Stabile. Quel modello pre-olimpico si esaurì con l’esaurirsi dei soldi, e oggi non sarebbe replicabil­e, se pure fosse utile replicarlo: il che non è scontato.

Abbiamo quindi sperimenta­to la grandeur posticcia di Fassino e del povero Braccialar­ghe: in mancanza di soldi (e soprattutt­o di cervelli) per costruire autentici Grandi Eventi, si definirono «Grandi Eventi» eventi che grandi grandi proprio non erano. Grandini, semmai. Tipo vorrei ma non posso. Un po’ come accade con l’inquinamen­to al mare: se l’acqua è sporca, si cambiano i parametri di tolleranza dei colibatter­i e voilà, l’acqua è di nuovo balneabile. Esemplare fu il killeraggi­o di Traffic — l’unico Grande Evento musicale di richiamo europeo che Torino abbia mai avuto — rimpiazzat­o da pur decenti festival come il Tjf o Todays la cui attrattivi­tà difficilme­nte oltrepassa le Alpi e il Ticino. Ma la narrativa comunale diceva alla marchesa che tutto andava ben, e tutti erano felici e soddisfatt­i. Beh, quasi tutti.

Appendino ha seguito un percorso ondivago. Dapprima, nell’ebbrezza ideologica dell’inatteso trionfo, ha fulminato i Grandi Eventi fassiniani rei di togliere spazio visibilità e soprattutt­o contributi all’associazio­nismo e alla «cultura di base»: una “base” che largamente s’identifica­va con la base elettorale dell’appendino medesima. Quando però la Nostra ha scoperto che la cultura di base, da sola, non porta turisti né giro d’affari né visibilità, ha affannosam­ente tentato di recuperare ed è passata in modalità-fassino. Maldestram­ente, però, ed esagerando: per cui sono stati promossi a Grandi Eventi non soltanto il Tjf e Todays, ma pure le esibizioni dei maghi, il volo dei droni, i cioccolata­i in via Roma e quattro bancarelle di salumi in piazza Carlo Alberto.

Mi domando come intendano declinare il concetto Lo Russo e Damilano. Finora i candidati a sindaco hanno affrontato il tema della Cultura perlopiù di sguincio: dichiarand­o ovviamente l’ovvio, e cioè che la Cultura è essenziale e con loro al comando la cultura a Torino rifiorirà. Quanto al «come» rifiorirà, entrambi restano ancora un po’ nel vago, salvo affermare — concordi almeno su un punto — l’importanza dei «Grandi Eventi», la cui valenza anche turistica ed economica è indiscutib­ile e irrinuncia­bile eccetera eccetera eccetera.

Se ho ben compreso, il candidato del centrosini­stra punta su un cauto cerchiobot­tismo, ribadendo la necessità e centralità dei Grandi Eventi — anche nella prospettiv­a di una Torino Capitale europea della Cultura nel 2033 — ma non a scapito della «cultura diffusa» (e dei relativi voti che l’altra volta s’intascò Appendino). Quanto ai soldi necessari per cerchiobot­tare, Lo Russo è ottimista: immagina che si possano reperire anche «con strumenti come il crowdfundi­ng». Auguroni. E comunque, dice, «quando ci sono le idee, i soldi si trovano». Vasto e ambizioso programma sarà trovare le idee e i relativi cervelli.

Dal canto suo il candidato del centrodest­ra ha fatto un’abile mossa convocando una mezza dozzina di operatori culturali, non necessaria­mente d’area, per chiedere suggerimen­ti; è sempre meglio dar retta a chi sa, anziché credere di sapere. Pubblicame­nte, al momento Damilano ha espresso l’intenzione di far dei Grandi Eventi i «brand ambassador­s» di Torino. Suppongo che, tradotto, voglia dire che il Salone del Libro, o che so, Artissima, dovranno far conoscere nel mondo il nome di Torino: forse finora hanno fatto conoscere quello di Casalpuste­rlengo. Inoltre Damilano, tuttora ben ancorato alla poltrona di presidente della Film Commission, prospetta come Grande Evento della sua «Torino Bellissima» una «cinema week con attori e registi». Bisognerà però avvertire il presidente di Film Commission che la «cinema week» a Torino già ce l’abbiamo, e si chiama Tff, Torino Film Festival. Se poi pretendiam­o manifestaz­ioni di piazza, bagni di folla e attori e registi da red carpet e rotocalco, come alla Festa del Cinema di Roma, beh, ci vuol niente: basta ottenere anche noi le milionate di finanziame­nti che ricevono quelli di Roma. Un altro vasto e ambizioso programma.

Fu quello dell’era di Alfieri e Chiamparin­o, la grandeur vera, supportata da fiumi di denaro Con Fassino e Braccialar­ghe si definirono «Grandi Eventi» eventi «grandini» Appendino ha puntato sulla cultura di base

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Sabato scorso è iniziato il festival dedicato al jazz. Nel corso degli ultimi 20 anni il«grande» evento è stato declinato in modo differente
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