L’omaggio a Bonatti, una vita da esploratore
Al Museo della Montagna l’omaggio a dieci anni dalla scomparsa
Era soprannominato il re delle Alpi, una delle figure più eminenti della montagna, a livello mondiale. Per ricordare i dieci anni dalla scomparsa, nel giorno in cui avrebbe compiuto gli anni, il Museo Nazionale della Montagna dedica a Walter Bonatti una mostra personale. Stati di grazia. Un’avventura ai confini dell’uomo sarà presentata oggi alle 18 in streaming dalla direttrice Daniela Berta e durerà fino al 5 dicembre. L’esposizione, curata da Roberto Mantovani e Angelo Ponta racconterà Bonatti sotto ogni punto di vista, non solo l’alpinista che ha aperto nuove vie e ha scalato pareti mai tentate prima, come il Grand Capucin, il Cervino, le cime di Lavaredo, il K2; ma anche il fotoreporter e giornalista che con i suoi reportage ha raccontato il mondo sulle pagine della rivista Epoca.
Lo staff del Monte dei Cappuccini, che conserva e colleziona tutto l’archivio dell’alpinista, nato a Bergamo il 22 giugno 1930, ha impiegato tre anni di catalogazione e studio per mettere ordine nella sua biografia e gli oltre centocinquantamila fototipi, i quindicimila negativi, l’attrezzatura indossata durante i suoi viaggi, i premi e le onorificenze ricevute durante tutta la sua vita. Il risultato è sotto gli occhi del pubblico, che potrà guardare da vicino il casco con l’adesivo di Gamba di Legno indossato nei giorni del Cervino, così come gli occhiali, gli scarponi, la fune rossa, i ferri (è il caso di dirlo) del suo mestiere.
«Walter Bonatti ha dato molto alla montagna, e molto riteneva di aver ricevuto. Per questo, con precisione meticolosa conservava tutto, fin da quando era un ragazzino, era un modo per salvaguardare la memoria di ciò che aveva fatto», dice Daniela Berta. La mostra va oltre le montagne e le scalate, oltre dunque il 1965, che è l’anno in cui Bonatti decide di dire addio alle grandi imprese. Una sala del museo è stata allestita come se fosse la foresta amazzonica e rievoca i grandi reportage, le avventure non soltanto con chiodi e piccozze. Le pareti della mostra, allestita negli spazi che un tempo erano la palestra del Club Alpino Italiano, sono piene di foto, a colori e in bianco e nero, e c’è anche un video che mostra diari di viaggio precisissimi e digitalizzati, oltre a un video girato da un drone che mostra le montagne che l’alpinista ha sconfitto, ci sono anche molte delle frasi tratte dai libri del protagonista, tra queste: «Qui la solitudine e spaventosa, quasi disumana. Mi chiedo se non ho varcato i limiti della saggezza, se per orgoglio, non sto sfidando il mio destino». E ancora: «Per me la saggezza è di attaccare il Cervino e il destino di arrivare in vetta. E così dev’essere». Proprio come un moderno Ulisse, Bonatti amava sfidare se stesso, i limiti imposti dalla Natura, e ha sempre vinto lui, come testimoniano le sue imprese. Ha toccato la cima di tutto il mondo: Alpi, Ande peruviane, Karakoram, Dolomiti, sempre con consapevolezza nei propri mezzi e profondo rispetto nei confronti del paesaggio, due caratteristiche che si percepiscono anche nel Bonatti giornalista, e nelle testimonianze lasciate dai suoi articoli, dove si comprende che, curioso com’era, ciò che gli interessava davvero era instaurare una relazione con le altre specie viventi, cercando le tracce del nostro passato, quella che lui chiamava «l’animalità perduta».
A termine della mostra, una macchina per scrivere e una scrivania mostrano il lato più sedentario e inusuale di Bonatti, con una conclusione che è poetica: «Ho girato il mondo per essere utile anche agli altri, nonostante qualcuno mi abbia definito esploratore dell’inutile. È la stessa inutilità di un mazzo di fiori che rende bella la vita».
Alpinista e reporter Sono esposti i suoi «ferri del mestiere», foto, video. E anche la macchina per scrivere