«C’era una Finpiemonte parallela di cui ero all’oscuro»
Parla in aula e si difende l’ex direttore generale della finanziaria, Maria Cristina Perlo
«Nel novembre del 2017 ho scoperto una Finpiemonte parallela, costruita con documenti falsi di cui ero all’oscuro». A parlare è Maria Cristina Perlo, l’ex direttore generale della finanziaria regionale a processo per non aver vigilato sui conti correnti aperti da Finpiemonte nella banca svizzera Vontobel e sui quali era l’unica ad avere potere di firma.
La Procura le rimprovera di «non aver impedito, pur essendo nelle condizioni di farlo», le diverse operazioni bancarie che avrebbero permesso al presidente Fabrizio Gatti di far sparire i 6 milioni di euro per salvare dal fallimento la propria società immobiliare Gem. Interrogata in aula per cinque ore, Perlo ha ricostruito il periodo compreso tra il settembre del 2015 e il novembre del 2017: dal momento in
L’ingresso degli uffici torinesi di Finpiemonte cui iniziano i colloqui con Vontobel per aprire un conto deposito a quando emergono gli investimenti ad alto rischio non autorizzati e i bonifici diretti a società che nulla hanno a che vedere con la finanziaria.
Due anni in cui, secondo l’accusa, ci sarebbero stati diversi campanelli d’allarme ignorati. A cominciare dal contratto con Vontobel, che avrebbe dovuto essere di deposito e garantire un rendimento annuo del 2 per cento: invece, prevedeva che la banca potesse fare investimenti.
Il contratto viene stipulato alla fine del 2015 e vengono depositati i primi 50 milioni. Ad aprile del 2016 Finpiemonte ne chiede la restituzione: i soldi e i relativi interessi tornando indietro, seppur con un po’ di ritardo. Nessuno cerca spiegazioni. Si procede a un secondo deposito da 50 milioni vincolato al 10 agosto e poi prorogato ad aprile 2017. Nel frattempo, a febbraio 2017 in previsione del bilancio, Perlo chiede a Bianca Cravioglio, dirigente dell’area Finanza, il quadro delle giacenze. Emerge che nel dicembre del 2016 erano stati investiti 10 milioni di euro. «Non avevo autorizzato alcun investimento e chiesi di verificare. Ci venne risposto che si trattava di spostamenti interni alla banca. I documenti confermavano sia i 50 milioni di deposito sia gli interessi. I revisori non sollevarono eccezioni e non mi vennero segnalate criticità». Poco dopo si scopre un nuovo investimento da 40 milioni, in dollari.
«Non c’era stata alcuna autorizzazione da parte mia. A maggio ne parlai con Gatti e Cravioglio e concordammo di chiedere la restituzione dei soldi entro il 23 giugno. Dalla banca risposero che gli investimenti servivano per consentire a Finpiemonte il rendimento del 2 per cento. Non ho pensato a fare domande: in quel momento l’importante era far rientrare il denaro. E l’estratto conto confermava la presenza di soldi e interessi. Ero tranquilla». Nonostante i solleciti, però, il capitale non rientra. Intanto, a luglio 2017 Gatti lascia la finanziaria e l’incarico di presidente passa a Stefano Ambrosini. «Non gli dissi subito delle difficoltà a far rientrare il denaro. Lo feci a ottobre, quando venne disattesa l’ennesima proroga concessa a Vontobel». Si arriva così alla riunione del 2 novembre con i vertici della banca svizzera: si scopre che i conti aperti sono 4 e non 2, che gli estratti conto sono falsi e che sono partiti bonifici verso società sconosciute alla finanziaria. «C’era una Finpiemonte parallela. Io ho fatto quello che era in mio potere».