Bankitalia «vede» segnali di ripresa
Il rapporto annuale evidenzia lo strano effetto della crisi: più ricchezza ma non per i giovani
Il Pil del Piemonte nel 2020 è calato di oltre il 9% a causa del Covid, in misura lievemente superiore alla media nazionale (-8,3%), ma la vivace ripresa della scorsa estate e il miglioramento dell’indicatore Regio-coin nel primo trimestre 2021 dimostrano la capacità di recupero dell’economia. Sono le stime di Banca d’italia nel «L’economia del Piemonte». «Le prospettive sono positive», dice Lanfranco Suardo, direttore della sede di Torino.
Una cascata d’acqua su un fuoco di ambizioni: si può sintetizzare così l’effetto Covid sull’economia piemontese nel 2020. Ma sotto le ceneri della pandemia rimangono vivi i carboni ardenti, ed è da lì che occorre ripartire, perché gli spunti positivi non mancano.
Prima però è indispensabile una valutazione dei danni e, conti alla mano, si scopre che il Pil della regione in 12 mesi è calato di oltre il 9%, in misura appena superiore alla media nazionale (-8,3%).
È quanto si apprende dalle stime di Banca d’italia, che ieri ha presentato il rapporto annuale sulla situazione finanziaria piemontese.
Una caduta che non è stata uguale per tutti: a soffrire sono soprattutto i giovani e le donne, le categorie più fragili, i nuovi poveri.
In totale sono 52 mila i posti persi nel 2020 (-2,8%), il 59% dei quali riguarda la categoria femminile. Particolarmente grave il fenomeno a livello giovanile: la quota dei cosiddetti Neet — ovvero chi non studia e non cerca lavoro — è cresciuta del 2,8%, arrivando quasi al 20%. Ovvero uno su cinque.
La crisi pandemica si è riflessa in misura significativa anche sui redditi delle famiglie, calati in misura più intensa della media italiana. Una contrazione inferiore a quella del Pil solo grazie alle misure disposte dal Governo. La riduzione della disponibilità economica ha contribuito a una flessione dei consumi persino superiore a quella dei redditi: una tendenza al risparmio che ha aumentato la liquidità nei depositi.
Ma l’incremento è riconducibile solamente ai conti di importo medio-alto. Tradotto i ricchi sono sempre più ricchi, come testimoniato dal boom di depositi (61 miliardi solo a Torino), ma 10 under 40 su 100 vivono in famiglie prive di reddito (erano 6 su 100 nel 2019).
Se in Piemonte la ricchezza aumenta (vale 7 volte il reddito), questa non si traduce in attività reali, ma crescono solo gli investimenti finanziari. A livello industriale i settori più colpiti sono il tessile, il metalmeccanico, il commercio non alimentare e il turismo. Oltre il 60% delle imprese ha utilizzato moratorie o garanzie pubbliche, e sono cresciuti i finanziamenti. La conseguenza è un indebitamento delle aziende, tendenza in calo negli ultimi anni, anche se si stima al di sotto del picco del 2012.
Nel mercato del lavoro si registra un calo occupazionale del 2,8% e ancora tra le categorie più deboli: lavoratori a termine o autonomi. Ma la situazione sembra in miglioramento: dopo i timidi segnali della scorsa estate anche nel primo trimestre l’indicatore Regio-coin è tornato a crescere.
Inoltre tra gennaio e aprile sono state create 4 mila nuove posizioni di lavoro (contro il -14 mila dei primi 4 mesi del 2020) e le imprese industriali prevedono un recupero significativo dei fatturati. «Finalmente si intravede una risalita — afferma Lanfranco Suardo, direttore della sede di Torino della Banca d’italia — il Piemonte è fortemente integrato nel sistema globale delle esportazioni, pian piano verso i ritmi precedenti, e in più molte imprese intendono effettuare, intensificandoli, gli investimenti ritardati lo scorso anno». E poi la questione Pnrr: «Avrà un impatto per l’1,5% del Pil — dice Giorgio Marsiaj, presidente Unione industriali di Torino — sperando che non siano solo annunci. Resta centrale il tema dell’attrattività, soprattutto per Torino, per diventare sede di futuri investimenti».