Così Lombroso porta Torino in Cina
Grazie al film di Milla sullo scienziato, la nostra regione sarà al centro di un format tv
Galeotto fu il film su Cesare Lombroso girato tra la Palazzina di caccia di Stupinigi e il Cuneese. Stefano Milla, regista di «The Chain», pellicola ispirata alla vita del controverso scienziato, è tornato a Torino in questi giorni per una nuova missione: una prima perlustrazione della città, del Piemonte e della Valle d’aosta, dal punto di vista architettonico ma anche dell’ «italian life style» del territorio. Motivo? Proprio grazie agli scorci di «The Chain», il newyorkese Larry Namer, fondatore e proprietario del canale fashion «E! Enterteinment» e della casa di produzione Metan Global Ent, si è innamorato delle nostre terre e ha deciso di produrre la versione italiana di «Discover Europe». Il format consiste in una serie di episodi che hanno già fatto incontrare la vecchia Europa allo sterminato pubblico cinese. In particolare, si punta ai nuovi milionari d’oriente, in gran parte tra i 25 e 35 anni. L’idea, adesso, è mostrare loro il Piemonte.
Da cosa nasce cosa. Saggezza popolare che, applicata alla potenza comunicativa del cinema, potrebbe riverberarsi addirittura sul turismo internazionale in Piemonte.
Nel febbraio 2020, avevamo raccontato la storia di Stefano Milla, il regista torinese trasferitosi a Hollywood per realizzare il sogno di una vita: dopo alcune esperienze di successo, nell’estate del 2019 era tornato nel capoluogo sabaudo per girare «The Chain», film ispirato (molto) liberamente alla vita di un giovane Lombroso alle prese con salti nel tempo, possessioni diaboliche e una giusta dose di pulp fiction.
Da un fatto, si diceva, alla sua conseguenza. Milla, infatti, ha trascorso il mese di agosto a Torino per una prima perlustrazione della città, del Piemonte e della Valle d’aosta, dal punto di vista architettonico ma anche dell’ «italian life style» del territorio. Motivo? Grazie agli scorci di «The Chain», il newyorkese Larry Namer, fondatore e proprietario del canale fashion «E! Enterteinment» e della casa di produzione Metan Global Ent, si è innamorato delle nostre terre e ha deciso di produrre la versione italiana di «Discover Europe». Il format consiste in una serie di episodi che hanno già fatto incontrare la vecchia Europa allo sterminato pubblico cinese; in termini di conoscenza certo, ma anche di flussi di turismo verso le location scelte per le puntate già realizzate. E sono proprio i nuovi milionari cinesi, in gran parte tra i 25 e 35 anni, il target privilegiato per un programma che propone cultura, natura ma soprattutto modelli di vita appetibili. Ecco perché, quando il progetto andrà in porto, le potenzialità piemontesi di proporsi turisticamente anche in Cina, non potranno che moltiplicarsi aprendo al nuovo mondo i suoi cancelli, le sue vette e la sua cucina.
In attesa di sviluppi, auspicabili realisticamente già nelle prossime settimane, «The Chain» prosegue il suo percorso, pur se rallentato dalla pandemia; il risultato è un prodotto qualitativamente cinematografico, più ancora che televisivo, che si delinea in un plot accattivante e aperto a mille sviluppi e si distingue per fotografia e ambientazioni di prima grandezza. Già, perché a fare bella mostra di sé, a parte qualche grattacielo di Los Angeles, sono proprio le bellezze di Piemonte e Valle d’aosta. Dalla Palazzina di caccia di Stupinigi, nella finzione Turin Royal Palace, il cui maestoso ingresso è sede d’inquietanti sedute medianiche, al Monviso che svetta nelle numerose esterne; dalla straordinaria struttura del XVI secolo della Confraternita di San Giuseppe di Murello (Cuneo), ai ruderi del valdostano Chatel Argent che fanno da sfondo all’elegante inquadratura di un’impiccagione con tanto di fune, trave, scala e, ovviamente, un boia. Il tirapiedi, così veniva chiamato con disprezzo nelle piazze, era colui che doveva rompere l’osso del collo al morituro tirandolo per le gambe nel più breve tempo possibile, perché solo in questo modo poteva guadagnarsi il rispetto del popolo. Due curiosità: la forca utilizzata a Torino fino al 1864 nel ben noto Rondò, è conservata al Museo Cesare Lombroso ed è stata replicata fedelmente nel film; inoltre, a interpretare il boia è Massimo Lombroso, un discendente dello scienziato che proprio a Torino elaborò le sue controverse teorie di antropologia criminale, così autoironico da prestarsi a un cameo dall’innegabile black humor.
Ora il film è in procinto di essere distribuito in piattaforma dalla Lionsgate, una delle più importanti case di distribuzione a livello planetario, e il suo più probabile destino è di espandersi in 12 episodi, già scritti dallo studioso saviglianese Daniel Roux, a completamento edi una ipotetica prima stagione. Sviluppo davvero imprevedibile per un «Lombroso effect» che, almeno in questo caso, risparmierebbe allo scienziato le polemiche che da qualche tempo lo accompagnano in ogni sua uscita pubblica.