Cari politici, il Salone va Lasciamolo libero di fare la sua strada
Non solo una fiera ben riuscita, ma un modello sociale
Eppure a lungo la politica ha pensato di poter disporre del Salone, di saperne indirizzare le sorti. Ma è ormai evidente l’esatto contrario: la politica ha soltanto da imparare dal Salone.
Pertanto non si vede a quale titolo la politica potrebbe impancarsi a dettar legge o a impartir lezioni al Salone.
Quest’anno, pur nella doppia eccezionalità dell’emergenza sanitaria e del record di presenze, abbiamo gioito di un Salone «normale»; uno straordinario Salone normale. L’organizzazione ha funzionato normalmente bene; normali dibattiti hanno normalmente proposto idee anche assai divergenti senza scatenare risse ideologiche e baruffe da pollaio; come è normale per una manifestazione culturale, i media e il pubblico si sono interessati ai temi della cultura e non a faide interne, disastri finanziari e carte processuali; e — come accade nei paesi normali — ogni voce ha trovato spazio, rispetto, dignità.
Ecco, questo è il Salone, e questo deve continuare a essere. Non solo una fiera ben riuscita, ma un modello sociale.
Pertanto, ora che abbiamo un sindaco, a lui mi permetto di rivolgere un sommesso suggerimento. Caro Lo Russo, il Salone può badare a se stesso. Lei si limiti a fare la sua parte, ovvero a confermare i finanziamenti e a risolvere in maniera costruttiva la non più rinviabile questione della partecipazione degli enti locali all’assetto societario del Lingotto, struttura da cui, si è visto, il Salone — e l’intero tessuto economico cittadino — non può prescindere.
Per tutto il resto, riguardo ogni altro aspetto organizzativo e contenutistico della fiera più amata dai torinesi, si faccia e ci faccia un regalo: ascolti, rispetti e lasci decidere chi sa e fa. Lei, caro sindaco, non è un esperto né di editoria, né di organizzazione fieristica, né di marketing, e neppure — senza offesa — di letteratura. Prenda esempio dal lodevole impegno della Regione (impegno che mi auguro sarà confermato dai fatti) di non metter becco nella nomina del nuovo direttore. Si astenga da interventi non richiesti. E limiti le istruzioni agli organizzatori a una sola, di evangelica chiarezza: «Fate voi, e fate al meglio».
E se Lagioia — e sottolineo «se» — dopo maggio decidesse di lasciare, lasci che cerchino, senza interferenze, un altro direttore bravo. Ma bravo davvero, bravo almeno quanto Lagioia.
E non importa se il direttore che sceglieranno sarà rosso o nero o verde o giallo, non importa come vota, non importa il sesso o la religione o nient’altro. Purché sia capace. Esperto. Autorevole. Empatico con la squadra e la città. Di un direttore così avrà bisogno il Salone per continuare a crescere. Non di un babbeo paracadutato che se la tira da fenomeno. Né di lotte intestine, di malumori, di fazioni, di stravolgimenti e contorsioni. Il Salone non sa che farsene di apprendisti stregoni o servi di partito. Lo lasci tranquillo, il Salone, caro Lo Russo. Libero di fare la sua strada. Nient’altro, signor sindaco. Grazie.
Ha costruito e rafforzato un senso di orgoglio e appartenenza