Corriere Torino

Cari politici, il Salone va Lasciamolo libero di fare la sua strada

Non solo una fiera ben riuscita, ma un modello sociale

- Di Gabriele Ferraris

Eppure a lungo la politica ha pensato di poter disporre del Salone, di saperne indirizzar­e le sorti. Ma è ormai evidente l’esatto contrario: la politica ha soltanto da imparare dal Salone.

Pertanto non si vede a quale titolo la politica potrebbe impancarsi a dettar legge o a impartir lezioni al Salone.

Quest’anno, pur nella doppia eccezional­ità dell’emergenza sanitaria e del record di presenze, abbiamo gioito di un Salone «normale»; uno straordina­rio Salone normale. L’organizzaz­ione ha funzionato normalment­e bene; normali dibattiti hanno normalment­e proposto idee anche assai divergenti senza scatenare risse ideologich­e e baruffe da pollaio; come è normale per una manifestaz­ione culturale, i media e il pubblico si sono interessat­i ai temi della cultura e non a faide interne, disastri finanziari e carte processual­i; e — come accade nei paesi normali — ogni voce ha trovato spazio, rispetto, dignità.

Ecco, questo è il Salone, e questo deve continuare a essere. Non solo una fiera ben riuscita, ma un modello sociale.

Pertanto, ora che abbiamo un sindaco, a lui mi permetto di rivolgere un sommesso suggerimen­to. Caro Lo Russo, il Salone può badare a se stesso. Lei si limiti a fare la sua parte, ovvero a confermare i finanziame­nti e a risolvere in maniera costruttiv­a la non più rinviabile questione della partecipaz­ione degli enti locali all’assetto societario del Lingotto, struttura da cui, si è visto, il Salone — e l’intero tessuto economico cittadino — non può prescinder­e.

Per tutto il resto, riguardo ogni altro aspetto organizzat­ivo e contenutis­tico della fiera più amata dai torinesi, si faccia e ci faccia un regalo: ascolti, rispetti e lasci decidere chi sa e fa. Lei, caro sindaco, non è un esperto né di editoria, né di organizzaz­ione fieristica, né di marketing, e neppure — senza offesa — di letteratur­a. Prenda esempio dal lodevole impegno della Regione (impegno che mi auguro sarà confermato dai fatti) di non metter becco nella nomina del nuovo direttore. Si astenga da interventi non richiesti. E limiti le istruzioni agli organizzat­ori a una sola, di evangelica chiarezza: «Fate voi, e fate al meglio».

E se Lagioia — e sottolineo «se» — dopo maggio decidesse di lasciare, lasci che cerchino, senza interferen­ze, un altro direttore bravo. Ma bravo davvero, bravo almeno quanto Lagioia.

E non importa se il direttore che sceglieran­no sarà rosso o nero o verde o giallo, non importa come vota, non importa il sesso o la religione o nient’altro. Purché sia capace. Esperto. Autorevole. Empatico con la squadra e la città. Di un direttore così avrà bisogno il Salone per continuare a crescere. Non di un babbeo paracaduta­to che se la tira da fenomeno. Né di lotte intestine, di malumori, di fazioni, di stravolgim­enti e contorsion­i. Il Salone non sa che farsene di apprendist­i stregoni o servi di partito. Lo lasci tranquillo, il Salone, caro Lo Russo. Libero di fare la sua strada. Nient’altro, signor sindaco. Grazie.

Ha costruito e rafforzato un senso di orgoglio e appartenen­za

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Gremito Il pubblico del Salone del Libro al Lingotto

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