Le passeggiate nervose nei video che lo incastrano Il figlio: lui killer? Impensabile
«In famiglia non sapevamo nulla di quella donna»
I filmati che incastrano Luigi Oste, collocandolo sul luogo del delitto sono ripresi dalle telecamere di videsorveglianza di un condominio e del bar gestito dalla famiglia di Patrizia Cataldo. I frame non sono di alta qualità, ma sarebbero sufficienti a dimostrare che, tra le 20.15 e le 20.25 del 31 ottobre, Gino è transitato più volte sotto gli occhi elettronici tra via Gottardo e corso Vercelli. Sembra passeggi nervosamente, avanti e indietro, come se aspettasse l’arrivo di qualcuno. Agli investigatori della Mobile, guidati dal capo della sezione Omicidi Marco Poggi, Patrizia ha dichiarato di essere stata riaccompagnata a casa da Massimo Melis, poco prima delle 20.30. E alle 20.32 Oste viene ripreso per l’ultima volta mentre ritorna definitivamente nel suo bar. A quell’ora, con ogni probabilità, l’ambulanziere della Croce Verde è già morto, ucciso con un colpo di pistola alla tempia. Un colpo di pistola che nessuno ha sentito o che forse i residenti della zona hanno scambiato per un petardo sparato per festeggiare Halloween. Con un revolver calibro 38 special che non si trova e che gli inquirenti stanno continuando a cercare.
Durante tutta la serata di domenica, sui telefoni di Oste non c’è traccia di traffico telefonico. Una strana coincidenza, ma per dimostrare la colpevolezza del barista 62enne saranno necessari anche i risultati delle comparazioni delle impronte rilevate sulla portiera della Punto di Melis, i campioni di Dna e altri accertamenti balistici. «Non abbiamo immagini che riprendono direttamente la scena del crimine, ma abbiamo un quadro preciso di quello che è successo che speriamo di arricchire ulteriormente con altri elementi – ha commentato il dirigente della Mobile Luigi Mitola – Il movente è tanto chiaro quanto illogico. Nel momento in cui l’indagato ha capito di non avere speranze ha rivolto il suo rancore verso una persona che non c’entrava nulla».
Nei tre isolati di corso Vercelli dove si è consumato il «giallo di Barriera» non si parla d’altro. C’è chi è convinto dell’innocenza di Gino e chi lo accusa senza mezzi termini. Ieri pomeriggio, dopo una settimana, ha riaperto i battenti anche il bar Gottardo, ma dietro il bancone il padre di Patrizia non se la sente di parlare. Nel locale, solitamente affollato, non c’è quasi nessuno, mentre all’angelo Azzurro c’è il pienone. Tanti amici e clienti affezionati si sono stretti attorno a Diego, il figliastro trentenne di Oste che vive assieme lui. «Non è facile, per niente – ripete Non sappiamo nulla, ci sono indagini in corso. Era la notte di Halloween noi non potevamo immaginare una cosa del genere. Non sapevano nulla neppure di questa donna, io non ho mai chiesto a mio padre. Lui si faceva la sua vita e io la mia. L’ho letto dai giornali». Neppure quando ha appreso che la pista principale portava a un uomo di 62 anni, Diego ha pensato che il suo patrigno potesse essere coinvolto nell’omicidio: «Chi può sospettare del proprio padre? Il pensiero che potesse aver ammazzato qualcuno non mi è passato per la testa neppure per un attimo. Ora spero di poterlo vedere, che me lo lascino incontrare. E gli dirò che è un idiota. Ma, lo ripeto, è una situazione difficile. Non ci dicono niente e noi non sappiamo cosa pensare».