«Non capisco questo spettacolo Eppure scava già dentro di me»
Rocco Papaleo parla di «Peachum», in scena da martedì al Carignano «Io e Paravidino siamo molto diversi. Ho scelto di restare spalancato»
Dal 23 novembre al 5 dicembre, al Teatro Carignano, Rocco Papaleo sarà il protagonista di Peachum. Un’opera da tre soldi, una potente rilettura de L’opera da tre soldi scritta da Bertolt Brecht firmata da Fausto Paravidino e prodotta da Teatro Stabile di Torino — Teatro Nazionale e Teatro Stabile di Bolzano. Papaleo interpreta per l’appunto Peachum, uomo letteralmente governato dal denaro per il quale, peraltro, non nutre particolare passione. Ironia della sorte, è la prima volta che l’attore originario della Basilicata riesce a lavorare a Torino dopo che aveva preso la decisione di trasferircisi. Decisione che nel tempo è sfumata: «Purtroppo ho dovuto desistere. Per chi fa il mio mestiere il core business era e resta Roma. Nulla è mutato circa il mio sentimento per questa città, continuo ad avere il desiderio di abitarci, ma non ce la faccio. Ho venduto la mia casa in corso Massimo». A giocare un ruolo in questa vicenda è stata anche la morte, tre anni fa, della mamma, «così ho ristrutturato la casa di famiglia a Lauria. E quanto più posso vado a passarci del tempo. È stato doloroso, ma al contempo riesco a vivere il mio paese in maniera più libera, più lontano dalla morale di lei. La mia terra rappresenta per me l’essenza di mia madre. Ci ho anche girato da poco un film che uscirà prossimamente. Si chiama Scordati e parla di un accordatore di pianoforti».
È onesto in modo sconcertante Papaleo quando parla della sua relazione non solo con lo spettacolo ma anche con lo stesso regista, Fausto Paravidino. «Siamo molto diversi, per nulla affini. In questa differenza risiede anche l’attrazione per il progetto. Fausto è un artista di grande livello, intelligente e consapevole. Io sono un istintivo, sono pervaso da una meravigliosa insicurezza. Avevo molta curiosità di lavorare con lui e curioso di affrontare questo testo che è bellissimo. Avevo voglia di scoprire nuovi orizzonti». Eppure, questo spettacolo, lo sta cambiando. Se infatti, racconta, qualche tempo fa, pochi mesi per la precisione, avrebbe potuto dire che la sua collocazione ideale era quella del teatrocanzone, oggi si ritrova in un flusso di cambiamento vero. Anche a 63 anni, da uomo solido come si definisce e con poche ma strutturate certezze, si sente in balia di «una meravigliosamente tardiva inconsapevolezza data da una sensazione di libertà. Non mi sento in alcun modo costretto dal professionismo. Vorrei proprio decidere giorno per giorno». Merito anche di questo innovativo Brecht? «Questo spettacolo, inconsciamente, sta scavando dentro di me. E, sinceramente, non l’ho ancora capito. Probabilmente accadrà quando entrerà in ballo anche il pubblico, vedendo la risposta della gente in sala. Ci sono molte cose che esulano dal mio punto di vista, sono sensazioni, passaggi. Ci sono i contenuti e ci sono le forme. A me non sono chiare le forme. Un certo uso della musica per esempio, che non immaginavo dovesse essere impiegata in quel modo. Fortunatamente riesco a distanziarmi dalla mia idea e a sposare questa nuova visione, cercando di capire come si muove e perché. E lo spettacolo arriva comunque. Seppure io non condivida tutto. Non mi contrappongo, anzi, resto spalancato. Mi sto affidando». Come sempre, agli artisti e agli intellettuali tocca di indicare la strada. Lo fece Brecht negli anni Venti del ‘900 e oggi che siamo invece nei Venti del 2000, ciò che lui presagì sul fallimento del capitalismo va oltre la realtà. «Brecht aveva avvisato il popolo di questo virus che si stava infilando nella società. Oggi siamo all’implosione di quella problematica. I soldi sono diventati una religione».
❞ Il trasloco Ho dovuto lasciare la casa di Torino. Per chi fa il mio mestiere il core business era e resta Roma