Le voci della Costa Concordia riemergono con Trincia
Un podcast e un libro raccontano la tragedia dell’isola del Giglio con le testimonianze dei protagonisti del naufragio di dieci anni fa
Questa sera sarà da solo Pablo Trincia, alle 21 al Circolo dei Lettori, a presentare il suo doppio progetto letterario e «udibile» sulla tragedia della Costa Concordia. Romanzo di un
naufragio è il titolo del libro edito Einaudi Stile Libero che è anche un podcast di successo, Il dito di Dio, prodotto da Chora Media. L’incontro sarà un mix di ascolti e di letture che faranno fluire quella notte del 13 gennaio 2012 quando, al largo dell’isola del Giglio, affondò la nave da crociera con a bordo più di 4.000 persone. A guidarla era il capitano Francesco Schettino.
Trincia, quando ha deciso di occuparsi della Concordia?
«Solitamente scelgo le mie storie. In questo caso accadde che una sera tardi mi chiamò Mario Calabresi e me la propose. Pensai: ”Madonna no. È una roba enorme”. Si trattava delle vite di 4.000 persone e perdersi in una faccenda così è molto facile. Ma valeva la pena buttarcisi. Libro e podcast, come per Veleno, sono nati in contemporanea».
I podcast sono sempre più importanti sul mercato.
«Io faccio il tifo per la letteratura sonora, sono un podcaster prestato alla scrittura».
Nonostante il nome in onore di Neruda?
«Non significa che un giorno non scriverò un romanzo puro. Non sono tanto un lettore quando un ascoltatore. Il libro ti obbliga a prendere una posizione, a stare seduto, a concentrarti. Le case di chi ascolta podcast sono pulitissime: ascolti e pulisci, cucini. Guidi. Il podcast non è nemico del libro. I social, internet, la televisione lo sono».
Cosa ha in più secondo lei?
«Scatenano l’immaginazione. La lettura si popola di colori, oggetti, volti che fanno parte della memoria emotiva».
Cosa dicono i passeggeri della Concordia che hanno sentito Il Dito di Dio?
«Con alcuni siamo in contatto stretto. Tutti mi hanno riportato che, ascoltando, si sono resi conto di ciò che avevano vissuto anche gli altri, del dolore che avevano provato. I protagonisti, in qualche modo, sono la famiglia Brolli di Misano Adriatico, un fratello e due sorelle. Col podcast è come se si fossero confessati a vicenda i sentimenti di cui avevano smesso di parlare dopo l’incidente».
Ciò che ci descrive è un’esperienza emotiva…
«Ho ricevuto centinaia di messaggi di gratitudine e tutti scrivevano le stesse cose». Quali?
«Ho capito che le persone vogliono sentire. Mi scrivono: “Ho provato freddo, ansia, angoscia. Ho pianto”. Si tratta di una realtà ampliata, un’immersione nel racconto, dove si empatizza e si provano emozioni vere. La gente ha fame di vita, vuole sentire le corde vibrare, ha bisogno di percepire dentro qualcosa che si muove. Credo all’approccio di una narrazione che ci ricordi che siamo umani e che, prima di giudicare, bisogna trovarsi dentro una situazione. Che tu sia un passeggero. O che tu sia Schettino».
Ecco, appunto, Schettino.
«Nella sua vicenda ci sono tre momenti. Il primo è l’incidente. Il secondo, ed è il grande errore che ha commesso, è stata la gestione del naufragio: non informare i passeggeri, non aver comunicato alla capitaneria l’accaduto, non aver annunciato l’emergenza generale al punto che non era più possibile utilizzare le scialuppe del lato sinistro tanto era inclinata la nave».
Come ha potuto?
«Forse lo choc. Aveva sbattuto una nave immensa da miliardi, la sua carriera era finita. Ha chiamato la moglie, che non è proprio una cosa da fare in quelle circostanze. Chi era intorno a lui non ha avuto la prontezza di intervenire. E come terzo punto, c’è che quando è stato criticato ha iniziato ad attaccare tutti. Nel suo libro si racconta come il grande capitano che ha salvato 4 mila persone, si descrive come l’eroe incompreso».
Come non giudicarlo? «Pensando: chissà quanti Schettino ci sono in ognuno di noi».
«Per evitarli bisogna pensare a quanti comandanti così ci sono in ognuno di noi»