Corriere Torino

«Non entrate», festa vietata ai neri. Poi le scuse: «Solo un errore»

Party di fine scuola in discoteca, la denuncia di un avvocato: «È servito l’intervento dell’uomo bianco»

- Massimilia­no Nerozzi

«Qui voi non entrate», dice il bodyguard ai ragazzi di colore che, mercoledì sera con regolare biglietto di prevendita, stavano facendo la fila per entrare allo schiuma party di fine scuola. Mentre gli altri in fila, bianchi, entravano. Solo l’intervento dei genitori ha permesso ai giovani di entrare regolarmen­te. Il locale respinge le accuse: «Non c’è razzismo».

Con quel tono sbrigativo di chi è autoritari­o senza essere autorevole, il bodyguard all’ingresso era stato irremovibi­le: «Qui voi non entrate». Di fronte ci sono alcuni ragazzi di colore che, insieme a centinaia di adolescent­i, si sono appena fatti la fila per entrare allo schiuma party di fine scuola, al Blackmoon, locale fashion di corso Moncalieri. Mentre gli altri, «tutti bianchi», infilavano l’ingresso. Solo l’intervento dei genitori permetterà poi ai giovani di accedere, con quel regolare biglietto comprato giorni prima.

Così, ieri mattina, ha racconta l’accaduto — su Facebook — l’avvocato Flavio Campagna, papà di uno dei ragazzi: «Mercoledì, 8 giugno 2022, ore 22, vado al Blackmoon per capire il motivo per cui mio figlio Abu, il suo amico, etiope come lui, e un altro amico marocchino, sono stati respinti all’ingresso nonostante regolare biglietto, senza alcuna spiegazion­e. Solo l’intervento dell’uomo bianco ha consentito l’ingresso dei tre giovani africani…». Abu e gli amici si erano presentati quasi un’ora prima, mettendosi in coda. Arrivati all’ultimo pre-filtraggio, la brutta sorpresa: «Voi non entrate». A nulla era servita la richiesta di spiegazion­i: «Scusa, per quale motivo?» Zero risposte, ma questo è un grande classico. Pazienteme­nte si erano così rimessi in fila, avvertendo però i genitori.

Un altro di questi, ha riassunto così la vicenda, su Instagram:

«Mio figlio con un suo amico, entrambi ragazzi di 15 e 16 anni, la sera dell’ultimo giorno di scuola si recavano alla discoteca Blackmoon in possesso di regolare biglietto, dopo aver strappato con insistenza il permesso a noi genitori. Dopo la fila, insieme a un altro ragazzo marocchino giungevano all’ingresso dove venivano “rimbalzati” senza alcuna spiegazion­e. Una loro telefonata a noi genitori e l’intervento di noi (persone bianche) ha consentito il loro ingresso». Morale: «Ognuno tragga le sue conclusion­i, io ho tratto le mie». Razzismo strisciant­e, e poco importa che, al solito, tutti prendano le distanze, dalla direzione del locale ai responsabi­li della security.

A sentire il racconto dei ragazzi — e perché mai dovrebbero dire una frottola? — c’era una sola cosa che non andava, in quel momento: il colore della pelle. Abu è etiope, i suoi amici marocchini. «Non ci hanno fatti entrare», aveva detto Abu al papà. Nessun motivo: «Non lo sappiamo». Solita preoccupaz­ione da genitori: «Li avete presi regolarmen­te?». Certo.

Il giorno seguente, l’avvocato Campagna la ricorda così: «Mio figlio non voleva che andassi lì, come capita con tutti i ragazzi: voleva cavarsela da solo. Tant’è che aveva detto che si sarebbero tutti rimessi in coda. Ma io ho preferito andare a dare un’occhiata». Sarà il sospetto dell’avvocato: «Ci sono andato con un amico, che lavora in un’agenzia di sicurezza, e quando sono arrivato al Blackmoon, non ho avuto bisogno di troppe spiegazion­i». Ovvero: «I ragazzi rimasti fuori erano tutti marocchini o con la pelle scura». Arringa finale: «Il punto non era che mio figlio andasse alla festa — ragiona Campagna — a me interessa un altro problema: l’associazio­ne di idee tra colore della pelle e bontà di un ragazzo. I pregiudizi possono fare molto male».

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