«Sole e idrogeno i nostri nuovi motori» Profumo, Torino e la transizione ecologica
Transizione ecologica, per Francesco Profumo (Compagnia) è un’opportunità ma «serve un piano strategico che manca»
«Idrogeno? Si utilizzi la rete elettrica per far arrivare l’energia dal Sud al Nord, e qui la si trasformi». Francesco Profumo, presidente della Compagnia di San Paolo, fu tra i primi a credere nell’hydrogen Valley quando ancora nessuno ne parlava. «Ma servono molte più risorse. E un piano a lungo termine». Ma il Piemonte è pronto per diventare la valle dell’idrogeno? «Parto da una storia. Era il 2002 e io
— ricorda Profumo — decisi, con il Politecnico, di iniziare a fare attività per l’idrogeno: ai tempi c’erano pochissimi proseliti. Creai, con l’envy Park, l’hysy Lab: il focus principale era l’utilizzo dell’idrogeno attraverso celle a combustibile, sia per applicazioni stazionarie che legate alla mobilità elettrica. Creammo un gruppo davvero interessante».
«Idrogeno? Si utilizzi la rete elettrica per far arrivare l’energia dal Sud al Nord, e qui la si trasformi». Francesco Profumo, presidente della Compagnia di San Paolo, fu tra i primi a credere nell’hydrogen Valley quando ancora nessuno ne parlava. «Ma servono molte più risorse. E un piano a lungo termine».
Presidente, il Piemonte è pronto per diventare la valle dell’idrogeno?
«Parto da una storia. Era il 2002 e io decisi, con il Politecnico, di iniziare a fare attività per l’idrogeno: ai tempi c’erano
Il governo
Ha selezionato sei regioni, tra cui il Piemonte, per creare hub di energia pulita
Solo elettrico
Nello stesso giorno l’ue ha firmato la messa al bando dei motori termici a partire dal 2035
❞
Mercedes Bresso
Sono d’accordo con lei Non possiamo costruire l’hydrogen Valley con solo 80 milioni di euro
❞ Scambio di energie Al sud potrebbe nascere hub per la produzione di H2 green, al nord invece si farà trasformazione
pochissimi proseliti. Creai, con l’envy Park, l’hysy Lab: il focus principale era l’utilizzo dell’idrogeno attraverso celle a combustibile, sia per applicazioni stazionarie che legate alla mobilità elettrica. Creammo un gruppo interessante e fummo moderni anche nell’ibridare le conoscenze di elettrochimica ed energetica partendo dai nostri studenti».
Esiste ancora qualcosa di quel progetto?
«Più che stimolata quell’idea è stata conservata, ma da quel laboratorio è nata un startup di successo, la Eps, che è stata quotata in Francia ed è diventata una realtà industriale».
Ma in generale il «pianoidrogeno» si è fermato…
«I risultati industriali si ottengono partendo dalla ricerca. E il Politecnico è stato antesignano, perché è da nostri ex dottorandi che è nata quest’azienda. Però è vero che è stato un caso singolo, dal quale varrebbe la pena ripartire».
Perché andò così?
«C’è innanzitutto il tema di come lo si produce, l’idrogeno. I sistemi tradizionali hanno dei rendimenti ancora bassi, quindi l’operazione diventa poco efficiente: da qui, la pochissima domanda. Ma non solo».
Cos’altro?
«I ritardi sull’energia sono legati al fatto che il costo delle fonti fossili è stato troppo ridotto, quindi investire in ricerca è sembrato inefficiente. Si tratta di una mancanza di lungimiranza e di visione che ora stiamo scontando».
Bresso ha detto che 80 milioni non basteranno per l’hydrogen Valley…
«Mercedes ha ragione».
Ma lei come inizierebbe a investirli?
«Bisogna fare un piano a lungo termine. In genere c’è una certa dicotomia tra la necessità di investimenti e le richieste di una politica frammentata che ha bisogno di risultati in breve tempo: su questo ci vorrebbe una riflessione complessiva. In ogni caso in questo momento credo che si debba puntare su ricerca e innovazione, perché il mercato non è ancora consolidato».
Ma davvero si può parlare di idrogeno verde?
«Dipende dai piani di realizzazione. Se il Paese decide di investire pesantemente sulle rinnovabili, sì, perché no: al Sud abbiamo ore e ore di sole. A quel punto però si aprirebbe un altro tema, che la produzione arriverebbe da un’area del Paese che non ha la capacità di utilizzo diretto dell’idrogeno. Serve una strategia».
Il nucleare non potrebbe essere una soluzione?
«Gli scenari sono vari. Ma costruire una centrale, qualsiasi essa sia, richiede almeno dieci anni oltre alle varie autorizzazioni. A me sembra che invece dovremmo dare risposte che non saranno magari quelle definitive, ma in tempi rapidi».
Quali sono le strade?
«Io ne vedo due. Una è quella di utilizzare la rete di trasmissione elettrica, che dovrebbe essere potenziata, ma esiste; e quindi trasferire tutto il generato dal Sud al Nord e poi a quel punto trovare una modalità di stoccaggio dell’energia che non viene utilizzata. Oppure, molto più complicato, fare la trasformazione da energia elettrica a idrogeno al Sud e poi pensare di avere un sistema di trasmissione parallelo. Io penso abbia più senso utilizzare la rete per trasferire l’elettricità al Nord, e poi il quantum in eccesso immagazzinarlo in batterie o trasformarlo in idrogeno».
Ma il piano di cui parla dev’essere nazionale?
«Nazionale, perché serve un decisore politico che vada in una direzione o nell’altra. Serve poi, però, un forte coordinamento con l’europa».
Anche lei è critico sullo stop alle auto a benzina e diesel dal 2035?
«Non ho tutti gli elementi per giudicare; sicuramente le due grandi transizioni, ecologica e digitale, sono legate alla terza, quella sociale: le persone devono essere accompagnate verso i nuovi saperi, i posti di lavoro devono essere ricreati. Il 2035 è domani, ma credo che gli stimoli che arrivano dall’europa debbano essere ascoltati».