IL FASCINO DELLE STREGHE PIEMONTESI
Nella realtà queste donne hanno svolto il ruolo di capro espiatorio. Anziane e sole, ingiustamente erano incolpate per ogni sventura che colpiva la comunità
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Solitarie, di brutto aspetto e in possesso di poteri soprannaturali, utilizzati per creare danni all’interno delle piccole comunità contadine. Sono le masche, le streghe presenti in buona parte del territorio piemontese e nell’arco alpino. Nella realtà queste donne «malefiche» sembrano aver svolto il ruolo di capro espiatorio. Vedove anziane e sole che venivano, ingiustamente, incolpate per un raccolto perduto, per la morte di un animale o per la malattia di un bambino. Le masche sono oggi rievocate per valorizzare territori dimenticati. Come spiega l’antropologa Laura Bonato nel suo libro Vita da strega (Meti edizioni), i racconti su queste figure si sono tramandati oralmente per generazioni nelle campagne piemontesi durante il rito della veglia, il tipico momento di aggregazione serale contadino. La parola masca richiama il termine maschera, in passato infatti le maschere rappresentavano gli spiriti dei morti che ritornavano per entrare in rapporto con i vivi. La masca era generalmente anziana, di sesso femminile e di solito agiva senza farsi scoprire. La presunta malvagità di queste donne era associata alla solitudine, al brutto aspetto e, in molti casi, a un qualche difetto fisico. Secondo la tradizione lo scopo delle masche era quello di destabilizzare la vita quotidiana delle comunità, procurando piccoli impedimenti e sciagure. Le vittime predestinate delle streghe erano soprattutto i bambini e gli animali della stalla, due categorie molto importanti nel mondo agricolo perché potevano garantire la continuità dell’economia familiare. Tra gli strumenti utilizzati dalle masche c’era il libro del comando, una specie di ricettario, oltre a medaglioni, anelli e bacchette. In verità la masca era generalmente una persona anziana, sola ed emarginata che, non potendo contare sul supporto del resto della comunità rurale, diveniva il bersaglio ideale dei compaesani. Come ricorda Laura Bonato, le disgrazie destabilizzavano le società tradizionali, occorreva quindi trovare un senso all’accaduto e attribuire una colpa. E la masca era perfetta come capro espiatorio. Nelle relazioni ecclesiastiche e nei registri parrocchiali si trova notizia della persecuzione di queste streghe. Esistevano però anche le masche buone, capaci di far andar a buon fine un innamoramento. Queste donne erano anche conosciute come guaritrici, in grado di impiegare antiche ricette o intrugli per curare le malattie.
Con l’industrializzazione, il tramonto della società contadina e l’arrivo della comunicazione di massa le masche sembrano essersi volatilizzate, ma non sono del tutto scomparse. Il ben noto processo di riscoperta delle tradizioni popolari ha fatto sì che queste figure venissero rievocate e messe in scena. Associazioni, pro loco e comitati locali hanno visto nelle masche un simbolo di identità del territorio e un modo per promuovere il turismo in località minori. Considerando il successo di queste iniziative, sembra che l’operazione abbia funzionato. In molte cittadine del Piemonte le masche sono oggi protagoniste di feste, rievocazioni o escursioni organizzate. A Pocapaglia, nel Roero, c’è un sentiero dedicato alla Masca Micilina. La tradizione vuole che Micilina, ovvero Michelina, abitasse in questo luogo. Questa masca viene descritta come piccola e deforme, il naso adunco, la bocca sdentata e gli occhi guerci dotati di un fascino tremendo. L’itinerario segue le strade del paesello e i sentieri tra le rocce che Micilina percorreva solitaria e ricurva, agitando il suo bastone. Paroldo, un paesino di 200 anime al confine tra il Piemonte e la Liguria, era addirittura conosciuto come «il paese delle masche», antichi documenti attesterebbero la numerosa presenza di queste figure. Per questo a novembre, in occasione della festa di San Martino, viene qui organizzata la «Notte delle masche». Gli abitanti aprono le porte delle proprie case per offrire ai visitatori un piatto di bagna càuda, poi la veglia si protrae fino a tarda notte tra racconti magici, canti e balli. Anche a Rifreddo, in valle Po, ad ottobre si celebra la «Notte delle streghe». L’iniziativa si ispira un fatto storico: i verbali dei processi alle streghe del 1495, conservati nell’archivio comunale. Le cronache dell’epoca parlano di un misterioso omicidio, perpetrato ai danni di una inserviente della badessa del monastero di Santa Maria di Rifreddo, che regnava su una buona parte del saluzzese. Alcune donne del luogo vengono inquisite. Nei documenti si descrivono le torture, le confessioni e la condanna non solo della presunta strega, autrice del mortale maleficio, ma anche di tutte le sue complici e presunte aderenti alla funesta confraternita. I visitatori vagano per le vie completamente buie di Rifreddo, accompagnati solo da un fantasma muto, e questo evento ha richiamato nel piccolo comune fino a 5.000 visitatori tanto che gli organizzatori sono stati costretti a inserire il numero chiuso per le edizioni successive. Le masche oggi non fanno più paura, ma la nostra società è sempre in cerca di capri espiatori.
Scomparse dall’immaginario collettivo, tornano nelle tradizioni popolari