Sul set delle Otto montagne
Paolo Cognetti racconta il suo ruolo di «amico e consulente» per le riprese del film, girato in Valle d’aosta, che ha conquistato Cannes
«Benvenuti in Valle d’aosta, regione in cui ho deciso di vivere, che mi ha accolto a braccia aperte e dove mi sento profondamente radicato». Paolo Cognetti ci accoglie in località Fenilliettaz di Brusson, poco distante dal rifugio che gestisce con la prospettiva di organizzare dei tour sugli itinerari de Le otto montagne, «ma sempre nel rispetto di un turismo non invasivo e sostenibile»; alle sue spalle c’è il «Pranzo di Babette, nome da predestinati della settima Arte, «ristorante in cui ho fatto il cuoco per 10 anni, imparando a comprendere il turismo di montagna dal dietro le quinte delle sue cucine».
È una delle tappe di «Panoramiche — Alla scoperta della Valle del Cinema», intensa «due giorni» voluta da Film Commission Vallée d’aoste, con il sostegno della Regione Valle d’aosta, del Forte di Bard e il patrocinio del Comune di Aosta, e dedicata al cinema in tutte le sue declinazioni; dalla presentazione della sua solida rete di festival, (Cervino Cinemountain, Gran Paradiso Film Festival, Strade del Cinema, Frontdoc, Cactus International Children’s and Youth Film Festival e A macchia d’olio a cura dell’aiace regionale); fino alla visita delle sue location più spettacolari, come Rocco Schiavone, House of Gucci, Diabolik e, ça va sans dire, Le otto montagne.
In merito a quest’ultima impresa produttiva, anche il premio Strega Paolo Cognetti ha voluto dare il suo contributo: «È stata un’incredibile avventura; i registi Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch volevano rispettare lo spirito del mio romanzo e mi hanno coinvolto nelle loro scelte, da amico ancor più che da consulente».
Il risultato? «Una sceneggiatura molto fedele all’originale, anche grazie agli attori che si sono calati perfettamente nella parte. Luca Marinelli (Pietro) si è immerso per mesi in questa realtà per farla propria; “suo padre” Filippo Timi era credibile come cittadino trapiantato in mezzo alla natura; e Bruno, Alessandro Borghi, è arrivato qui, e dopo un paio d’ore era già diventato un montanaro».
L’«avventura» è culminata con il passaggio trionfale e inaspettato nel grande «circo» del festival di Cannes, dove il film ha ottenuto un prestigioso Premio della Giuria. Cognetti se la ride: «Fino a qualche tempo fa non avrei mai potuto immaginarmi in smoking sulla Croisette; ma poi mi sono detto che, almeno per qualche giorno, potevo concedermi alla mondanità di questo bel “gioco” che si chiama cinema».
Spetta a Giorgio Vigna, l’esperto location manager de Le otto montagne, guidarci nel cuore di quel «tableau vivant» che è la frazione di Graines in cui il film è ambientato, e dove «60 membri della troupe hanno lavorato per 5 settimane in estate è per un paio di inverno». Ed è un piacere perdersi nei prati e nelle anguste stradine in cui Bruno e Pietro giocano, si ritrovano negli anni e accompagnano le mucche al pascolo: «Abbiamo concordato con i residenti ogni inquadratura —rivela — e il problema maggiore è stato garantire loro che non avremmo rovinato l’erba con cui sfamano i loro animali».
Poi ci accompagna nella scuola del paese che ha operato fino al 1973, edificio in cui è stata ambientata la casa estiva della famiglia Guasti: «Da qui s’inquadra come in un mirino la torre di Graines sul colle adiacente, scorcio che ha fatto innamorare Felix di questa location». Infine, spiega che ogni singolo intervento della produzione è stato eseguito d’accordo con Comune, Film Commission, vero motore dell’iniziativa, e Consorteria, anche grazie a fondi europei destinati a creare un museo civico «dove il ricordo delle riprese avrà lo spazio che merita».
Mentre parla, una mucca attraversa il paese con il suo campanaccio: «È della signora di fronte che ci aveva concesso la sua mandria —scherza —; potrei scommettere che sia apparsa anche nel film».
Non avrei mai potuto immaginarmi in smoking. Invece è successo sulla Croisette
mangiative come diceva lei: scodellone di insalata russa…». «Ecco, insalata». «… prosciutto in gelatina…», «i majuneis (la maionese in dialetto è maschile e plurale) l’aveva fatta Onorina, mai più mangiala buna parej». Prosegue la nonna: «Il vitel tonnè che si è imbausato (rovesciato) in macchina e Pinòt s’era infuriato che gli rovinavamo i sedili…», «oh, se è per quello anche di Antipasto Piemonte ne abbiamo dato dappertutto, e lui a cristonare…», «… e il sarsèt con l’uovo al paletto…», «… e quando abbiamo cercato ovunque le ancjue al verd e ci siamo accorti di averle dimenticate a casa…», «… e Pinòt non aspettava altro di mangiarsene una burnìa e di nuovo a bestemmiare!». «Eggìà, e le cotolette in carpione…». L’amico si è messo a gemere: «Basta, basta». «Ti è venuta fame, eh?». «Per carità, con sto caldo!». «Vuoi che ti faccia due peperoni con la bagna cauda?».