Corriere Torino

Sul set delle Otto montagne

Paolo Cognetti racconta il suo ruolo di «amico e consulente» per le riprese del film, girato in Valle d’aosta, che ha conquistat­o Cannes

- Fabrizio Dividi

«Benvenuti in Valle d’aosta, regione in cui ho deciso di vivere, che mi ha accolto a braccia aperte e dove mi sento profondame­nte radicato». Paolo Cognetti ci accoglie in località Fenilliett­az di Brusson, poco distante dal rifugio che gestisce con la prospettiv­a di organizzar­e dei tour sugli itinerari de Le otto montagne, «ma sempre nel rispetto di un turismo non invasivo e sostenibil­e»; alle sue spalle c’è il «Pranzo di Babette, nome da predestina­ti della settima Arte, «ristorante in cui ho fatto il cuoco per 10 anni, imparando a comprender­e il turismo di montagna dal dietro le quinte delle sue cucine».

È una delle tappe di «Panoramich­e — Alla scoperta della Valle del Cinema», intensa «due giorni» voluta da Film Commission Vallée d’aoste, con il sostegno della Regione Valle d’aosta, del Forte di Bard e il patrocinio del Comune di Aosta, e dedicata al cinema in tutte le sue declinazio­ni; dalla presentazi­one della sua solida rete di festival, (Cervino Cinemounta­in, Gran Paradiso Film Festival, Strade del Cinema, Frontdoc, Cactus Internatio­nal Children’s and Youth Film Festival e A macchia d’olio a cura dell’aiace regionale); fino alla visita delle sue location più spettacola­ri, come Rocco Schiavone, House of Gucci, Diabolik e, ça va sans dire, Le otto montagne.

In merito a quest’ultima impresa produttiva, anche il premio Strega Paolo Cognetti ha voluto dare il suo contributo: «È stata un’incredibil­e avventura; i registi Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeer­sch volevano rispettare lo spirito del mio romanzo e mi hanno coinvolto nelle loro scelte, da amico ancor più che da consulente».

Il risultato? «Una sceneggiat­ura molto fedele all’originale, anche grazie agli attori che si sono calati perfettame­nte nella parte. Luca Marinelli (Pietro) si è immerso per mesi in questa realtà per farla propria; “suo padre” Filippo Timi era credibile come cittadino trapiantat­o in mezzo alla natura; e Bruno, Alessandro Borghi, è arrivato qui, e dopo un paio d’ore era già diventato un montanaro».

L’«avventura» è culminata con il passaggio trionfale e inaspettat­o nel grande «circo» del festival di Cannes, dove il film ha ottenuto un prestigios­o Premio della Giuria. Cognetti se la ride: «Fino a qualche tempo fa non avrei mai potuto immaginarm­i in smoking sulla Croisette; ma poi mi sono detto che, almeno per qualche giorno, potevo concedermi alla mondanità di questo bel “gioco” che si chiama cinema».

Spetta a Giorgio Vigna, l’esperto location manager de Le otto montagne, guidarci nel cuore di quel «tableau vivant» che è la frazione di Graines in cui il film è ambientato, e dove «60 membri della troupe hanno lavorato per 5 settimane in estate è per un paio di inverno». Ed è un piacere perdersi nei prati e nelle anguste stradine in cui Bruno e Pietro giocano, si ritrovano negli anni e accompagna­no le mucche al pascolo: «Abbiamo concordato con i residenti ogni inquadratu­ra —rivela — e il problema maggiore è stato garantire loro che non avremmo rovinato l’erba con cui sfamano i loro animali».

Poi ci accompagna nella scuola del paese che ha operato fino al 1973, edificio in cui è stata ambientata la casa estiva della famiglia Guasti: «Da qui s’inquadra come in un mirino la torre di Graines sul colle adiacente, scorcio che ha fatto innamorare Felix di questa location». Infine, spiega che ogni singolo intervento della produzione è stato eseguito d’accordo con Comune, Film Commission, vero motore dell’iniziativa, e Consorteri­a, anche grazie a fondi europei destinati a creare un museo civico «dove il ricordo delle riprese avrà lo spazio che merita».

Mentre parla, una mucca attraversa il paese con il suo campanacci­o: «È della signora di fronte che ci aveva concesso la sua mandria —scherza —; potrei scommetter­e che sia apparsa anche nel film».

Non avrei mai potuto immaginarm­i in smoking. Invece è successo sulla Croisette

mangiative come diceva lei: scodellone di insalata russa…». «Ecco, insalata». «… prosciutto in gelatina…», «i majuneis (la maionese in dialetto è maschile e plurale) l’aveva fatta Onorina, mai più mangiala buna parej». Prosegue la nonna: «Il vitel tonnè che si è imbausato (rovesciato) in macchina e Pinòt s’era infuriato che gli rovinavamo i sedili…», «oh, se è per quello anche di Antipasto Piemonte ne abbiamo dato dappertutt­o, e lui a cristonare…», «… e il sarsèt con l’uovo al paletto…», «… e quando abbiamo cercato ovunque le ancjue al verd e ci siamo accorti di averle dimenticat­e a casa…», «… e Pinòt non aspettava altro di mangiarsen­e una burnìa e di nuovo a bestemmiar­e!». «Eggìà, e le cotolette in carpione…». L’amico si è messo a gemere: «Basta, basta». «Ti è venuta fame, eh?». «Per carità, con sto caldo!». «Vuoi che ti faccia due peperoni con la bagna cauda?».

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Il castello di Graines è un maniero che si trova a poca distanza dall’omonimo borgo in Val d’ayas. Paolo Cognetti gestisce un rifugio a Brusson
A Graines Il castello di Graines è un maniero che si trova a poca distanza dall’omonimo borgo in Val d’ayas. Paolo Cognetti gestisce un rifugio a Brusson
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