Bitani, mediatore con pistola e distintivo: «È dei Servizi»
Un agente al gip: su permessi soggiorno sistema rodato
Assomiglia a un personaggio del suo libro, Ahmad Farhad Bitani, mediatore culturale afghano, almeno dalle 140 pagine dell’ordinanza di custodia e dai primi interrogatori davanti al gip Edmondo Pio, ieri: gira con una pistola e un tesserino della polizia di Stato — «pur non essendo titolare né di porto d’armi, né legittimato al possesso del documento» — ed è ben introdotto in questura o, forse, pure di più. «A quanto ne so lavora con i Servizi segreti», racconta il vice commissario Alessio Nettis, al fianco del difensore, l’avvocato Davide Diana. È uno dei nove arrestati nell’inchiesta della squadra Mobile sui permessi di soggiorno «facili», coordinata dal pubblico ministero Gianfranco Colace.
Somiglia ai personaggi del suo libro, Ahmad Farhad Bitani, almeno dalle 140 pagine dell’ordinanza di custodia e dai primi interrogatori davanti al gip Edmondo Pio, ieri: gira con una pistola e un tesserino della polizia — «pur non essendo titolare né di porto d’armi, né legittimato al possesso del documento» — ed è ben introdotto in questura o, forse, pure di più. «A quanto ne so lavora con i Servizi segreti», racconta il vice commissario Alessio Nettis, al fianco del difensore, l’avvocato Davide Diana. Insomma, mediatore culturale scappato dall’afghanistan dei talebani e, forse, tante altre cose. Il poliziotto parla per un’oretta, davanti al giudice e al pubblico ministero Gianfranco Colace, che ha coordinato l’inchiesta della squadra Mobile sui permessi di soggiorno «facili» e sullo sportello Immigrazione. Morale: 24 indagati e 9 persone colpite da misura cautelare in carcere, tra cui l’agente scelto Alessandro Rubino (avvocato Cosima Marocco), che si è invece avvalso della facoltà di non rispondere.
Dalle accuse degli investigatori — va da sé, da provare in un eventuale giudizio — ne emerge una brutta storia: da ufficio Raccomandazioni, più che da sportello Immigrazione.
Del resto, di «pressioni per avere un aiuto», da parte delle comunità straniere parla pure Bitani (avvocato Mauro Vergano); e il vice commissario aggiunge il sospetto di un sistema esistente da tempo, in quegli uffici. Come in tutte le storie, anche in questa si segue il rumore dei soldi, in senso letterale (e fonico): «Ascoltando con attenzione il rumore cartaceo del conteggio — scrivono gli agenti della Mobile — si percepiva per circa 18 volte il relativo suono». Banconote di taglio elevato, ipotizzano. Più spiccio è Rubino, in una conversazione intercettata dalla cimice piazzata sulla Fiat Punto di servizio: «Io sto puntando al grano».
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Oltre ai quattrini, se il favore era più piccolo, ci si aggiustava: dalle «28 brioche», del titolare di una pasticceria, allo scambio di favori con un’impiegata dell’anagrafe, passando per «i cerchi e le gomme per la nuova Bmw X5» di Bitani. Riassume il gip: «Nettis e Rubino risultano aver intessuto una rete di conoscenze che, in cambio dei “soliti favori” e agevolazioni nella gestione delle pratiche per stranieri, consentiva loro di ricevere beni e prestazioni di servizi in luogo di denaro». Così, gli utenti diventavano clienti, come emerge da un colloquio tra i due poliziotti: «Speriamo che lunedì ci paga almeno uno...uno bello grosso, almeno ricominciamo». E ancora: «Pure il fruttivendolo dice che vuole fare... mandarmi quattro, cinque, due». «Più sono meglio è». In palio c’erano i permessi di soggiorno: «Devono pendere tutti da noi cumpà...io gli ho detto “portami mille euro”».
Di certo Bitani era piuttosto disinvolto, da uscire a cena armato, e quando una ragazza lo fa notare, a Nettis non fa una piega: «Non si sa mai». Di più: «Bitani, pur guidando regolarmente la vettura, sovente anche in stato di ebbrezza alcolica o alterazione per l’uso di stupefacenti, risulta privo di patente di guida, mostrandosi totalmente incurante di tale mancanza». Arrivò pure una soffiata sull’inchiesta: «Ci sono giri strani della Mobile, adesso stiamo con il microfono, non si può parlare». E quando all’orizzonte s’affacciò il rischio di un trasferimento, Rubino tagliò corto: fin quando sto bene, «possiamo fare i cazzi nostri».