«Così non schwa: l’inclusività non può essere solo per pochi»
Al Circolo Risorgimento il linguista torinese Andrea De Benedetti stasera presenta il suo dibattuto saggio su «limiti ed eccessi del linguaggio inclusivo»
«Il cammino verso il linguaggio inclusivo è lastricato di buone intenzioni. Ma non di rado conduce anch’esso all’inferno», comincia così il saggio di Andrea De Benedetti Così non schwa. Limiti ed eccessi del linguaggio inclusivo (pubblicato da Einaudi) che l’autore presenta oggi alle 19 al Circolo Risorgimento con Monica Bardi. De Benedetti è scrittore e professore (dopo l’università di Granada, insegna Lettere al Liceo europeo Vittoria di Torino e collabora con l’academy della Scuola Holden). Uscito a fine maggio, il libro ha scatenato non poche discussioni in un momento di grande attenzione e riflessione sull’inclusività del linguaggio.
De Benedetti, il succo del suo libro, sostanzialmente, è la non inclusività dello schwa. Questa tesi come la colloca?
«Il problema sta nell’impossibilità di dibattere pacatamente. E non da maschio, bianco e privilegiato, ma da semplice cittadino e, nel mio caso, da linguista. Ciò non significa che io non sia aperto, sostengo assolutamente tutte le declinazioni femminili che la lingua italiana permette. Non significa che io sia nemico delle minoranze, anzi, o che sia anti femminista o contrario ai diritti civili. Esporsi equivale a venire stigmatizzati».
Perché lo schwa non è, a suo avviso, inclusivo?
«La sua adozione sistematica implicherebbe il ripristino di un terzo genere grammaticale neutro. È una faccenda complicata perché oltre a includere nomi e aggettivi, articoli e pronomi, participi verbali e preposizioni articolate, teniamo presente che la desinenza del genere, in italiano, è la stessa anche dei numeri. La nostra lingua deriva dal latino e ha subito un processo di semplificazione avvenuta per mano dei parlanti. Il ripristino di un terzo genere complicherebbe in particolar modo la situazione dei parlanti stranieri. Studi dimostrano che l’acquisizione del genere grammaticale sia lo scoglio maggiore per circa sei milioni di persone che vivono in questo Paese. Ne limita fortemente l’accesso. Pensiamo anche alle tante famiglie svantaggiate che hanno già molti problemi con la lingua corretta, agli anziani. La mia è una visione politica oltre che linguistica».
Resta il fatto che il tema è molto sentito e vanno cercate delle soluzioni. La sua?
«È altrettanto impopolare: il maschile non marcato. Quel “Ciao a tutti” che diciamo entrati in una stanza include appunto tutti, donne e uomini e persone non binarie. Il processo di semplificazione della lingua italiana ha fatto sì che ci sia il maschile non marcato non per questioni di privilegio. Se non agli albori».
Forse se invece di una società patriarcale ne avessimo avuta una matriarcale, oggi avremmo il femminile non marcato.
«Onestamente, non c’è alcuna correlazione tra l’uso della forma maschile non marcata e il ruolo e la visibilità delle donne nella società. Ci sono diverse lingue dove non c’è il maschile non marcato, penso al turco, dove la dissimmetria di genere non esiste nella lingua ma assai invece nel vissuto. Ancora, penso alla professione del medico, una tra le più difficili, per l’uso comune, da declinare al femminile. Medica non si usa praticamente mai. Eppure oggi le donne hanno ampiamente superato gli uomini, sono il 54 per cento mi pare contro il 46».
La o lo schwa?
«A dibattere si parte proprio da qui: al maschile si intende, quale è per ora, il suono. Al femminile lo usa chi rivendica il fatto che prima o poi venga considerata una lettera a tutti gli effetti».
Lo adotteremo sì o no?
«A mio avviso prenderà piede tra i parlanti solo con delle forzature e mi preoccupa molto. La lingua funziona secondo criteri di maggioranza. Una parola entra nel vocabolario se viene usata da molti. La lingua non è un diritto individuale, è una cosa di tutti e da tutti deve essere messa al vaglio».
❞ La tesi Sono aperto a tutte le declinazioni femminili che la lingua italiana permette Ma non al genere neutro
❞ La riflessione La mia è una visione politica oltre che linguistica Pensiamo agli stranieri, famiglie disagiate e anziani