Quelle scientifiche, quella che non vogliamo vedere e quelle che diventano ossessione: parte da qui la nuova stagione (triennale) del Tpe secondo De Rosa «Vi diremo la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità»
«Avevo un’esigenza personale come regista, nata durante il lockdown». Andrea De Rosa, da dicembre scorso direttore della Fondazione Tpe, illustra i temi principali della stagione 2022/2023 al Teatro Astra. Spiega come la «pausa forzata» sia stata «un’esperienza forte, esistenziale». Il mondo che si ferma, dimostrando che «ci si può fermare», e la possibilità di riflettere. Da lì è nata l’idea di predisporre un programma triennale, come il suo mandato, analizzando il rapporto con la verità. La prima stagione della «trilogia» è Buchi neri e partirà il 12 novembre con
Processo Galileo, per la regia dello stesso De Rosa insieme a Carmelo Rifici (la doppia regia è una prospettiva insolita per il teatro). Fra i 29 spettacoli in programma, oltre a Festival delle Colline Torinesi e Palcoscenico Danza, compaiono opere come Costellazioni di Nick Payne, per la regia di Raphael Tobia Vogel,
Frankenstein, ispirato alle opere di Thomas Ligotti per la regia di Fabio Condemi, ed è atteso anche un evento (in data da stabilire) con Paolo Sorrentino.
Direttore, come si fa a parlare di verità?
«Indirizzo questo tema con il teatro e lo delimito. Nella prima stagione ci confrontiamo con la verità scientifica, figlia diretta di quello che abbiamo vissuto con la pandemia. Nel lockdown mi sono dedicato ai miei libri preferiti, quelli di divulgazione scientifica: gli scienziati sono dei poeti e non se ne accorgono, questo li rende ancora di più poeti. Provano a descrivere con un linguaggio ordinario cose che nel linguaggio ordinario non riescono a stare. È materiale drammaturgico molto forte».
Cosa intende?
«Il potere politico ha dovuto sottostare alla comunità scientifica. Partiamo da Galileo, che dovette abiurare per imposizione del potere temporale della Chiesa, mentre oggi è avvenuto il contrario: è stata la politica ad abiurare, per fortuna. Però è un cambiamento forte, perché il potere è stato costretto a obbedire, di qualunque parte politica fosse. Anche il premier britannico Boris Johnson ha dovuto abiurare una settimana dopo aver pronunciato una pessima frase sull’immunità di gregge. Non credo che questa situazione sia passeggera, stiamo attraversando qualcosa di nuovo che non conosciamo».
Ci sarà Paolo Sorrentino, cosa farà?
«Lo spirito è raccontare l’ambiente in cui siamo cresciuti insieme, quel “Rinascimento napoletano” la cui definizione è anche contestata, un momento in cui c’era una grande commistione tra i generi. Gli ho proposto di proiettare i monologhi dei suoi film e l’idea gli è piaciuta. Il monologo è uno strumento che ha molto a che fare con il teatro e in Sorrentino è molto presente, pensiamo a Toni Servillo o a Sean Penn».
Cosa vedremo nelle prossime stagioni?
«La prospettiva triennale è diversa da quello che si fa normalmente in Italia. Nella seconda stagione parleremo della verità che non vogliamo vedere, con il titolo Cecità, dal romanzo di José Saramago che sarà molto presente. Cosa non vogliamo vedere? Tornando alla pandemia, c’è stato il libro Spillover di David Quammen, sembrava quello di un profeta ma era solo uno scienziato e l’ha scritto nel 2006. Poi c’è l’emergenza climatica. La terza stagione si intitolerà Fantasmi, sulle verità che diventano ossessive, maniacali».
In questi mesi come ha lavorato a Torino?
«Conosco abbastanza bene la città, qui ho debuttato e ci sono tornato tantissime volte. L’ho trovata trasformata e ora ha una vitalità incredibile. Ci sono tante realtà con cui vorrei dialogare, in primis il Teatro Stabile, poi il Regio, ma vorrei anche aprire le porte del Teatro Astra alla musica e all’arte contemporanea. Abbiamo messo il nome del teatro nel nuovo logo perché è importante che Torino ascolti questo nome più spesso».
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