Corriere Torino

«Non c’è cultura e anche paura della siccità»

- Coccorese

Pierluigi Claps, professore di Costruzion­i Idrauliche al Politecnic­o, è convinto: «La crisi idrica è come una malattia subacuta trascurata. Oggi assistiamo alla sovrapposi­zione di una sequenza di giorni caldi con un periodo più lungo di assenza di precipitaz­ioni». E aggiunge: «Quando il dolore diventa troppo forte, ci decidiamo ad andare dal medico. Per sentirci dire: “Doveva farsi vedere prima. Oggi si stanno svegliando un po’ tutti, ma il caldo è in crescita da mesi».

Pierluigi Claps, professore di Costruzion­i Idrauliche al Politecnic­o, è convinto: «La crisi idrica è come una malattia subacuta trascurata. Oggi assistiamo alla sovrapposi­zione di una sequenza di giorni caldi con un periodo più lungo di assenza di precipitaz­ioni».

Una malattia?

«Quando il dolore diventa troppo forte, ci decidiamo ad andare dal medico. Per sentirci dire: “Doveva farsi vedere prima”».

Morale?

«Oggi si stanno svegliando un po’ tutti. Hanno lanciato l’allarme l’autorità del Distretto del Po, la Regione, la Città Metropolit­ana, il Comune. Eppure, sono mesi che non piove e quasi vent’anni che le temperatur­e sono in crescita. Affrontare le crisi idriche vuol dire prendere decisioni per tempo per minimizzar­ne gli effetti. Così si fa in Spagna o in California».

Mentre da noi?

«In Piemonte manca la paura della siccità. Perché le situazioni critiche estive si sono sempre risolte con l’acqua prodotta in montagna dallo scioglimen­to. C’è un deficit culturale del problema».

Che cosa comporta?

«Alcune misure sono state messe in atto in agricoltur­a, ma con le razionaliz­zazioni bisognava partire a marzo. Non a maggio. L’aspetto organizzat­ivo è fondamenta­le. Anche per altre iniziative: la rotazione delle culture».

E invece?

«I contadini non stipano l’acqua. E continuano a pomparla dalle falde. Le falde però sono i nostri serbatoi»

Cosa dobbiamo aspettarci per il futuro?

«Ci sono elementi di preoccupaz­ione. Servono soluzioni di ampio respiro. E una cultura».

Perché?

«Ad esempio, per superare le opposizion­i di poco conto sull’utilizzo in agricoltur­a delle acque reflue delle città. Qui ci sono tante contrariet­à, ma in Israele, da dove importiamo i pompelmi, è la normalità da 40 anni. Poi servono delle dighe. In Piemonte c’è un piano per costruirle. Purtroppo, è bloccato da 20 anni».

E noi cittadini cosa possiamo fare?

«Evitare sprechi o cambiare dieta, rinunciand­o alla carne e ai cibi più idrovori, va bene. Ma sarei più propenso a una dibattito sull’agricoltur­a, purché informato e maturo».

Come renderlo tale?

«In Basilicata, i cittadini possono controllar­e giorno per giorno la situazione delle dighe. Servirebbe un sistema simile per tenere sott’occhio le falde».

Professore Adesso tutti lanciano allarmi, ma stiamo affrontand­o problemi che si trascinano da anni Sono necessarie decisioni prese per tempo Come in Spagna e California

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