E la regione ogni anno perde 12 mila abitanti Meno nascite
Come se in un decennio sparissero Novara e Savigliano. Calati gli iscritti a scuola. Irrisolte le pari opportunità
In Piemonte non manca solo l’acqua, ma anche la popolazione. Negli ultimi 10 anni la regione ha «perso» 122 mila abitanti, l’equivalente di due città come Novara e Savigliano insieme. E le previsioni non sono rassicuranti. Il trend di discesa è in costante aumento e la pandemia ha solamente ampliato il fenomeno. È uno degli aspetti che emerge dalla relazione annuale di Ires Piemonte, l’istituto pubblico di ricerca che svolge indagini in campo socio-economico.
In Piemonte non manca solo l’acqua, ma anche la popolazione. Negli ultimi 10 anni infatti la regione ha «perso» 122 mila abitanti, l’equivalente di due città come Novara e Savigliano messe insieme. E le previsioni non sono rassicuranti.
Il trend in discesa è in costante aumento e la pandemia ha solamente ampliato il fenomeno. È uno degli aspetti che emerge dalla relazione annuale di Ires Piemonte, l’istituto pubblico di ricerca che svolge indagini in campo socio-economico con l’obiettivo di aiutare le istituzioni. Il saldo naturale (ovvero la differenza tra numero di decessi e nascite), è leggermente migliorato nel 2021, ma solo perché nell’anno precedente si è registrato uno dei picchi più negativi della storia recente (Piemonte seconda regione dopo la Liguria per tasso più elevato di mortalità). La leggera ripresa dunque si deve solo al calo dei decessi, mentre continuano a diminuire le nascite. Se nel 2012, dieci anni fa, nascevano 37 mila piccoli piemontesi, oggi il conteggio si ferma a 27 mila, ovvero 10 mila bambini in meno. La pandemia infatti ha influito anche sui progetti delle coppie, meno intenzionate a diventare genitori a causa del contesto incerto e delle difficoltà economiche. Il declino demografico riflette anche ritardi e disparità di sviluppo per quanto concerne le infrastrutture e la connettività (la maggior parte dei cantieri wireless si trova ancora in fase di progettazione), sia fisica che digitale. Il decremento infatti non è uniforme in tutta la regione: a registrare una perdita consistente di cittadini (-8%) sono soprattutto i territori di Acqui Terme, Biella, Borgosesia e Casale Monferrato, mettendone a rischio la competitività. In questo senso diventa indispensabile cogliere al meglio le opportunità offerte dal Pnrr. In parallelo aumenta il tasso di invecchiamento nelle zone montane e nelle colline di Alessandria e Asti. Se dieci anni fa in regione si contavano solo 240 comuni con una popolazione anziana superiore al 29%, oggi il totale è salito a 440.
L’ istruzione
L’ombra lunga del calo demografico emerge anche nel numero di iscritti nelle scuole dell’infanzia e delle medie. Tra il 2019 e il 2021 il Piemonte ha perso 5.300 studenti, e il dato indaga solo la scuola primaria. In soccorso a questi dati però entra in gioco il saldo migratorio, ovvero la differenza tra chi entra ed esce dalla regione, mai in positivo come quest’anno a causa del conflitto in Ucraina. Nel 2021 la regione aveva accettato 5.800 richieste d’asilo, mentre nella prima metà di quest’anno i profughi accolti sono già 10 mila (e sono soprattutto donne e bambini). E poi entrano in campo le conseguenze della pandemia e della didattica a distanza, che hanno fatto salire del 35% la quota di studenti che non raggiungono livelli di apprendimento sufficienti alla classe frequentata. E ad essere danneggiati sono soprattutto i giovani appartenenti alle famiglie più fragili (il 57% del totale, mentre nel 2019 si attestava al 40%). Le lacune si registrano soprattutto in matematica (57%) e italiano (45%).
Il lavoro
Nell’ultimo triennio del 2021 il tasso di occupazione regionale (66,3%) è tornato ai livelli pre pandemici (66,6%), riducendo l’empasse negativo del 2020. In questo senso le tutele messe in campo dal governo, in favore dell’apparato produttivo e dei pubblici esercizi, hanno funzionato. Resta però il gap occupazionale tra uomini e donne, rispettivamente al 73% e al 59%. Le donne risultano ancora penalizzate nonostante il rapporto di Almalaurea, dove si evidenzia come le donne in media terminino prima gli studi e per giunta con voti più alti. Al contempo aumentano le persone che hanno smesso di cercare attivamente lavoro (+28,7%) perché sfiduciate verso il sistema produttivo, perché si tratta di percettori del reddito di cittadinanza o anche perché non hanno il profilo specializzato richiesto dalle aziende che li collocherebbe sul mercato della produzione: ovvero 30 mila persone inattive in più dal 2019 al 2021 (272 mila in totale).