«Carmen non è più quella di una volta: è una donna libera»
Ketevan Kemoklidze è il mezzosoprano protagonista dell’opera in scena per il Regio nel cortile dell’arsenale: «Questo spettacolo parla di femminicidio e diritti»
«In Georgia si canta. Si canta sempre. Si canta quando si è felici e quando si è in guerra. E la Georgia è, ancora, in guerra. Dormiente, non se ne parla (più) ma è così». È Ketevan Kemoklidze, nata a Tbilisi, l’interprete protagonista della Carmen di Georges Bizet (questa sera c’è la prova generale), il secondo appuntamento — martedì, giovedì e domenica alle 21 — del Regio Opera Festival al Cortile di Palazzo Arsenale, nel nuovo allestimento con gli scritti a cura del direttore Sebastian Schwarz. L’innovazione consta nell’introduzione, in scena, della figura dello stesso Bizet in un dialogo costante con il pubblico, esperienza che Schwarz aveva già proposto con successo sulla Madama Butterfly. Rinnovato, quindi, l’invito all’attore Yuri D’agostino che impersonerà il compositore francese. La regia è di Paolo Vettori.
Ketevan Kemoklidze, cosa pensa di un Bizet in scena?
«Io sono sempre favorevole agli esperimenti, soprattutto se questi sono finalizzati ad attrarre un pubblico maggiore, magari anche più giovane, a vedere l’opera. Il personaggio di Bizet che spiega ciò che accade è anche molto adatto a una versione estiva che immagino avrà, seduti, anche parecchi turisti».
La questione opera e pubblico giovane è però un po’ sempre ripetuta. Ma davvero pensa che i ragazzi possano apprezzarla?
«Certamente. Credo che i giovani possano ritrovare molto di loro e di ciò che li circonda in opere come la Carmen, ma anche nella Bohème
o Il flauto magico o La Traviata. Carmen oggi più che mai poiché affronta temi come la libertà, l’indipendenza personale, i diritti delle donne».
Com’è la sua Carmen?
«Tante volte l’ho interpretata. E, prima ancora, tante volte l’ho vista a teatro. Al mio Paese si andava sempre all’opera. E sono certa che la Carmen che vedevano i miei nonni non fosse la stessa».
Ci spieghi meglio.
«È sempre stata considerata e vista e messa in scena come una donna fatale, provocante e provocatrice. La mia Carmen è una donna libera che vuole vivere appieno la sua indipendenza, che aveva, già a quei tempi, dei soldi suoi da spendere per se stessa perché se li guadagnava. Carmen non ha bisogno dell’aiuto degli uomini nonostante il marchio sociale, se così lo possiamo chiamare, di essere una zingara. Ed è per questo che viene uccisa, perché un uomo non tollera la sua libertà. Ed è per lo stesso motivo che è così amata, anche dalla gente».
È anche una scelta registica?
«La nostra produzione sottolinea molto questo punto di vista. Non c’è nessuna donna che provoca qualcosa: è Don José l’autore di un omicidio ed è l’unico colpevole. Lei difende i suoi desideri e il diritto di non voler più stare con un uomo. Ci sono troppi femminicidi, non si può non essere chiari su questo».
È un tema che le è caro? «Oltremodo. Sono madre di un maschio di 10 anni e di una piccola di 18 mesi e quando vedo queste donne ammazzate e penso che, oltre alla loro vita distrutta, non potranno più crescere i loro figli, mi sento impazzire».
Lei è georgiana. Cosa pensa della Russia?
«Penso molte cose bellissime. La Russia non è Putin ed è un grande Paese che ha fatto
❞ Nuova sensibilità Non è la stessa Carmen che conoscevano i miei nonni, fatale e provocatrice. Oggi è una donna indipendente
❞ Le origini Sono georgiana e conosco bene la guerra. Supporto l’ucraina con tutto il cuore Ma la Russia non è Putin
cose incredibili per la scienza e la cultura. Ma ciò che sta succedendo è orribile e io supporto l’ucraina con tutto il mio cuore. Ho trascorso l’intera infanzia con noi in guerra con i russi, anni passati senza luce né gas, con il suono perenne delle bombe e dei fucili che sparavano. Entrarono da noi senza bussare, senza chiedere il permesso. E sono ancora lì. Spero davvero che l’ucraina vinca la guerra».
Fu la musica a portarla via? «Vinsi un concorso che mi fece entrare all’accademia della Scala. Avevo 22 anni quando arrivai a Milano nel 2005. Ero piccola e spaesata, non capivo nulla tanto ero emozionata».