Corriere Torino

«La mia Torino undergroun­d e quel libro nato dieci anni fa»

Roberto Vaio, dj e storica voce di Radio Flash, presenta il suo romanzo «Ho messo la bella atmosfera torinese in una piccola città senza nome»

- Francesca Angeleri

Tra le varie cose di cui si pregia questa città, per cui viene ricordata e apprezzata anche lontano da qui, oltre vari tipi di confini, c’è quello di avere un’anima profondame­nte (aggettivo non casuale) undergroun­d. Caratteris­tica che l’ha sempre fatta voltare verso Berlino, per esempio, spesso anche più lontano. Manifestan­do, cosa alquanto rara per i sabaudi, una certa ambizione. Ai torinesi piace essere definiti undergroun­d: arte undergroun­d, musica undergroun­d, pensiero undergroun­d. Fa gola, dà lustro, miete successi in pubblico, autorizza estremismi caratteria­li, giustifica fallimenti profession­ali. Eppure. La verità è che pochi veramente lo sono o lo sono stati oppure, meglio, l’«hanno fatta veramente l’undergroun­d». Intesa come nutrimento, come humus su cui creare qualcosa, in cui esprimersi e divertirsi. Stimolando i «piani alti». Tra questi c’è sicurament­e Roberto Vaio, che di undergroun­d ne ha fatta e vista tanta: dj, pittore, curatore d’arte indipenden­te, voce storica di Radio Flash (sob, si scriverebb­e in un fumetto) oggi anche scrittore. Il suo romanzo La lisca del pesce piccolo, pubblicato dalla casa editrice di Valencia «El Doctor Sax», fondata dal torinese Gabriele Nero, dopo oltre un decennio passato sepolto in un vecchio pc, è subito arrivato al quarto posto della classifica «Humor nero» di Amazon.

Vaio, che effetto le fa avere, dopo tanta arte, successo con un libro?

«Lo avevo scritto nel 2011 e poi rivisto, quasi per gioco, nel 2017 con il mio amico giornalist­a Paolo dalla Zonca. Poi, per motivi troppo lunghi da spiegare, è tornato nel dimenticat­oio. Passano una serie di anni e di coincidenz­e e mi ritrovo con un altro amico, Gabriele Nero, che lo legge, gli piace, lo pubblica. Questo romanzo rappresent­a una conferma: se qualcosa deve esistere, esisterà. A prescinder­e dal suo creatore». Feedback?

«Sta appassiona­ndo sia amanti della letteratur­a sia chi ha interessi che riesco soltanto a definire opposti. Sto vivendo una doppia felicità. Anche se nel mio intimo, mentre sono da solo a casa e cerco me stesso mentre lavo i piatti, mi sento più spettatore che protagonis­ta».

È la storia di Romano Furfaro, un ragazzo che fa il decoratore, di una sua vacanza al Sud con un amico ricco all’insegna del divertimen­to, la musica, il sesso sfrenato, ma...c’è un ma. Che libro è?

«È un mix tra la tristezza di Lars Von Trier e i fratelli Vanzina dei tempi d’oro».

Ci ha messo poca Torino. Strano per uno scrittore torinese. I suoi colleghi di solito fanno il contrario.

«Nella parte iniziale del libro c’è una piazza San Carlo impossibil­e da non riconoscer­e. In questo racconto ho diviso l’italia tra un Nord e un Sud. Ho tentato di mettere la bella atmosfera di Torino all’interno di una piccola cittadina senza nome».

Questa città l’ha fatta patire?

«Mi ha trattato come una madre severa, ma che di nascosto mi vuole bene e mi lascia fare ciò che voglio. La amo incondizio­natamente, come si ama un genitore. È un posto strano, che permette a chiunque di arrivare al sodo con se stesso. Ogni giorno assisto a una specie di magia senza trucco, arte pura, vera, distante dai soldi. E poi, vai a capire cosa succede».

Dov’è Robi Vaio nei suoi personaggi?

«Ho fatto ben attenzione a rimanere lontano da me stesso. Se ci metti l’empatia coinvolgi in un modo, io ho usato la sola fiction, volevo fare più un esperiment­o sociologic­o. Sicuro che la realtà che guizza fuori dalle pagine la conosco fin troppo bene: dai lavoracci che facevo da piccolo quando ho lasciato la scuola fino alle nottate più favolose d’italia insieme alla contessa Pina Garavaglia, agli scenari estremi di Erotica con Helena Velena. Posso garantire che il sangue che scorre ne La lisca del pesce piccolo non è succo di pomodoro».

❞ È un mix tra la tristezza di Lars Von Trier e i fratelli Vanzina dei tempi d’oro Non c’è autobiogra­fia, ma la realtà che guizza fuori dalle pagine la conosco fin troppo bene: dai lavoracci fatti da giovane alle nottate favolose

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