Limousine, taxi e droni L’eterno ritorno dei marchi del car design torinese
Un’azienda israeliana rileva le carrozzerie Coggiola: «Investiamo un miliardo per fare veicoli hitech»
Sostiene Giorgetto Giugiaro che il car design, cioè la bellezza al volante dell’ingegneria, che poi è il «telaio» di Torino all’ennesima potenza, non esiste più da un pezzo. E se lo dice il car designer del secolo forse dovremmo dargli un po’ di credito. Eppure la storia delle grandi carrozzerie torinesi che per un secolo hanno modellato ed esaltato le forme delle auto «su misura», dalle prime Lancia alle Ferrari e le Barchetta, officine popolate da creativi eclettici quanto geniali, spesso un po’ guasconi, qualche volta consapevoli o inconsapevoli imbroglioni, è un romanzaccio che seppure al tramonto sembra non finire mai. E allora persi nell’album dei ricordi rivediamo Coggiola, che negli anni 80 produceva fuoriserie per i marchi svedesi Saab e Volvo, e che da ieri prova a rinascere come produttore di taxi elettrici multifunzione. «Produrremo 100 mila vetture e investiremo fino a un miliardo di euro», ha affermato Mark Ishakov, Ceo di Etioca, che ha rilevato Coggiola dalle ceneri di Vercarmodel, i suv più cari del mondo, tanto cari che sono falliti nel 2020. Si vedrà. Ma la storia non è nuova. In parte si è vista con Idea Institute, la fucina di modelli fondata nientemeno che da Renzo Piano (ma non ci lavorò mai) e dall’ingegner Franco Mantegazza, che ha provato a risorgere annunciando il ritorno alla produzione nel «tempio» del car design a Caprie, con limousine elettriche l’ex centro stile Bertone. Era il 2018. Di limousine elettriche non se ne è vista una. Prima di portare i libri in tribunale e al netto di decine di conferenze stampa, la nuova Idea ha attribuito la colpa ai soci cinesi: «Ci hanno truffato».
Bertone poi, fallita due volte, con un epilogo peggiore dell’altro, non poteva che rinascere a pezzi, divisa in due: Bertone Design come marchio milanese dai mobili d’arredo alle barche fino a un tentativo di risalire a bordo dell’auto in Emilia e con capitali inglesi, a bordo con Flymove.
Non è andata meglio a Stola e Maggiora, altri brand torinesissimi, di quelli che dal dopoguerra in poi prendevano telai e motori di serie per vestirli con slanci aerodinamici futuristici, concept car e Lancia K Coupè.
Comprate da Blutec sono sprofondate assieme a Blutec nell’ultimo fragoroso fallimento. E ora provano a rinascere nel vecchio stabilimento con i quadricicli di Mole Urbana. Che poi il presidente di Blutec, Roberto Ginatta, non nascondeva ambizioni più alte: comprare Italdesign, la creatura di Giorgetto Giugiaro e Aldo Mantovani, finita in mano di Volkswagen. Del resto quando si parla di brand made in Torino legati all’auto su misura anche gli investitori stranieri scapicollano.
Mahindra, sei anni fa, ha comprato Pininfarina, la vera «fuoriserie» del car design che oggi festeggia i primi 50 anni della sua Galleria del vento, salvo poi usare il brand per produrre auto a Monaco di Baviera. Di Vw si è già detto.
Ma c’è anche Ford, l’altro grande rimpianto dell’italia industriale, per chi sognava di avere due car maker nel paese, che comprò Ghia e Vignale da Alejandro de Tommaso.
Resiste il brand Vignale che oggi fascia alcuni modelli lusso di Ford. In città restano pochissimi car designer duri e puri. Le one-off di lusso di Manifattura Automobili di Rivalta, lo studio di progettazione di Roberto Piatti, Torino Design. Poi Cecomp che oggi sforna scocche per Renault e produce le Microlino. E ora rispunta la creatura di Sergio Coggiola, altra grande firma del design cresciuta nella fucina di talenti di Ghia. Chissà domani che design sarà: taxi, quadricicli, droni, barche. Perché alla fine al car design ci si crede anche quando non ci si crede più.