Pinto assolto dalla bancarotta L’imprenditore della movida non ha copiato il vermouth
Chiusa la querelle del fallimento del locale Anselmo
L’idea era rivoluzionare la cultura dell’aperitivo e far rinascere un prodotto che è sinonimo di Torino, città dove venne creato nel 1786. Invece la sfida per il rilancio del vermouth e del brand Anselmo si è rivelata una corsa ad ostacoli per Davide Pinto, anima della movida di San Salvario. Sei anni fa è finito in tribunale: prima accusato di bancarotta e poi di contraffazione. In entrambi i casi è stato assolto e adesso nulla più frena lo sviluppo del marchio «Vermouth Anselmo», che appartiene alla società di cui Pinto è amministratore.
Per ricostruire l’alcolica querelle che ha tenuto banco nelle aule di giustizia cittadine è necessario tornare al 2013 quando Pinto insieme all’amico Giuseppe Ballato, appassionato di botanica e di vintage, decide di aprire un ambizioso locale a San Salvario dal nome «Anselmo». La punta di diamante del progetto è proprio il pregiato vino aromatizzato che viene prodotto e venduto con due marchi: «Vermouth Anselmo» e «Anselmo Torino». L’idea, però, non decolla e le vendite non sono quelle sperate. E così nel 2015 la società è messa in liquidazione. Cominciano i guai. Pinto e Ballato, insieme con le rispettive fidanzate, finiscono sotto accusa per bancarotta. La Procura contesta di aver aggravato il dissesto della società di 140 mila euro per non aver chiesto tempestivamente il fallimento e di aver distratto dei beni. Gli arredi del locale (dai tavoli alle caraffe) sarebbero stati venduti a un costo inferiore a un’altra società, la Food & Drink Experience, che faceva capo a Pinto e alla sua compagna, che nel maggio del 2015 aprono «Affini» in via Baretti. E poi ci sono i marchi, «Vermouth Anselmo» e «Anselmo Torino», ceduti per circa 2.500 euro alla convivente di Ballato. Contestualmente, la società TP di Pinto registra il marchio «Vermouth Anselmo» in Francia. Da qui la seconda accusa di contraffazione. Ora le vicende giudiziarie possono dirsi concluse. Pinto, difeso dall’avvocato Alessandro Rizzaro, ha incassato l’assoluzione dalla bancarotta: i giudici d’appello hanno confermato il verdetto di primo grado che evidenziava come i marchi apparentemente «svenduti» in realtà valessero poche migliaia di euro. E due giorni fa l’imprenditore ha festeggiato, forse bevendo un vermouth, anche l’assoluzione dall’accusa di aver «copiato» il brand.