L’industriale Carbonato: «Non sono pigro, ma la svolta sull’elettrico è una partita complessa»
Gianfranco Carbonato (Prima Industrie) «La riconversione in 10 o 15 anni non è per tutti»
«Il mio business viaggia al 50% sull’elettrico, e non ho mai avuto tanti ordini come adesso, ma dico alle istituzioni e al sindacato di frenare l’accelerata sull’auto green. Rischiamo di ritrovarci un popolo di cassaintegrati o con reddito di cittadinanza e senza risposte vere sull’energia». Così Gianfranco Carbonato, presidente di Prima Industrie, 407 milioni di ricavi nel 2021.
«Il mio business viaggia al 50% sull’elettrico, e non ho mai avuto tanti ordini come adesso, ma dico alle istituzioni e al sindacato di frenare l’accelerata sull’auto green. Rischiamo di ritrovarci un popolo di cassaintegrati o con reddito di cittadinanza e senza risposte vere sull’energia». Gianfranco Carbonato, presidente di Prima Industrie, 407 milioni di ricavi nel 2021 con la soddisfazione del ritorno all’utile (8 milioni) non ci sta a passare per imprenditore «pigro e conservatore» come il segretario della Cgil Giorgio Airaudo ha dipinto su questo giornale un pezzo di classe industriale torinese, refrattaria al cambiamento e all’innovazione e contraria allo stop a motori termici imposto dalla Ue al 2035. «Scopro oggi che la Cgil preferisce la cassa integrazione al lavoro vero. In questo senso sì, mi sento conservatore. La svolta al 100% dell’auto elettrica in 13 anni porterà la perdita di 75 mila posti di lavoro».
Presidente Carbonato, la Cgil di Giorgio Airaudo dice che queste stime sul lavoro in fumo sono «fortemente esagerate».
«Due notizie in una. Adesso il sindacato contesta anche gli allarmi sui posti di lavoro, quando era il primo a lanciarli. Il mondo sta andando al contrario. Comunque nessun imprenditore è contro l’innovazione, anzi è il nostro mestiere se vogliamo stare sui mercati. Io ci fatturo quasi il 50% dei miei ricavi grazie all’auto elettrica, ma riconosco che la svolta Ue provocherà una bomba sociale. Invito tutti a ripensarci, almeno sui motori ibridi».
Prima Industrie ha puntato da tempo sull’hitech. Nei fatti sta dando ragione ad Airaudo? La sua azienda funziona perché ha puntato sulle tecnologie per la transizione energetica.
«Noi produciamo macchinari laser e di additive manufacturing che lavorano nel mondo dell’industria. Più auto elettriche ci sono in circolazione, più aumenta il peso di queste vetture a causa delle batterie. Quindi le nostre macchine diventano preziosissime. Perché consentono di lavorare le lamiere e alleggerirne il peso. Non ho mai avuto tanti ordini come in questo periodo. Ma questo non è il punto».
E quale sarebbe il punto?
«E vero come dice Airaudo che a Torino non si produce un motore dai tempi della Multipla. Ma la nostra filiera produce componenti per i motori. La riconversione in 1015 anni è possibile per molti, ma non per tutti, e con un costo sociale enorme».
Il cambiamento climatico
❞ Il mondo al contrario Il sindacato contesta gli allarmi sui posti di lavoro, quando una volta era il primo a lanciarli
❞ La previsione Resto dell’idea che il 100% elettrico entro il 2035 sarà un dramma per il nostro territorio
impone scelte drastiche.
«L’europa produce l’8% delle emissioni mondiali. Ma siamo l’unico continente a fare harakiri con la svolta al 100% dell’auto elettrica. Tutti gli altri continueranno ad inquinare, evidentemente. Mi auguro che ci sia un ripensamento. E che la svolta sia accompagnata da un atterraggio soft e non da scelte dirigiste draconiane».
Per Torino cosa comporta la svolta elettrica?
«Un bel problema. Siamo un tessuto industriale forte e diversificato. Gli imprenditori, magari non tutti, ma molti investono in tecnologia. Il nostro problema oggi è assumere: trovare personale qualificato, che sull’elettrico è ancora tutto da formare. In dieci anni ce la faremo? Ho seri dubbi».
Ancora Airaudo consiglia agli imprenditori di investire in fotovoltaico?
«Siamo seri. Se nessuno produce panelli solari in Italia c’è un perché. Li fanno in Cina a costi bassissimi. Su quel fronte non siamo competitivi. La verità che gli altri Paesi hanno una strategia energetica: la Francia ha il nucleare, la Germania riapre la centrali a carbone. Noi che vogliamo salire a bordo dell’auto elettrica cosa scegliamo delle due?».
Allora rimaniamo ancorati al motore a scoppio per sempre?
«No. Ma l’industria della mobilità non è un giocattolo. Ha i suoi tempi. In tanti stiamo investendo nella filiera dell’elettrico e lo facciamo perché il mercato si sta spostando lì. Ma resto dell’idea che il 100% elettrico entro il 2035 si rivelerà un dramma per il nostro territorio».
Ma lei ci è salito a bordo di un’auto elettrica?
“Settimana scorsa. Ho preso il passaggio di un amico. Bella vettura peccato che a spingere un po’ non superi un’autonomia di 250 chilometri e le infrastrutture di ricarica sono ancora molto scarse».