Corriere Torino

«Con la lingua dei bisnonni parlo ai giovani come me»

Marine Lavigne ha portato all’eurovision una canzone in bretone Sabato sarà a Ostana per ricevere il Premio per la Musica 2022

- Francesca Angeleri

Il gruppo

«Sono davvero contenta di essere stata contattata per il Premio Ostana. Qualsiasi iniziativa dia risalto e sia dedicata alle lingue madri minoritari­e mi tocca molto da vicino. Sono onorata di ricevere un premio per la mia scelta di cantare in bretone». Marine Lavigne è la giovane cantautric­e francese, originaria di Douarnenez, nell’estremo Ovest della Bretagna, che ha cantato all’eurovision Song Contest (come Alvan & Ahez). Ed è una dei premiati dell’edizione 2022 del Premio Ostana che si terrà, nella cornice della borgata Miribrart, da domani a domenica. In questi 13 anni, Ostana si è affermato come un punto di riferiment­o internazio­nale circa la riflession­e sui diritti linguistic­i e sulla tutela della biodiversi­tà linguistic­a. Il Premio è sostenuto dall’unesco nel quadro del Decennio Internazio­nale delle Lingue Indigene 20222032. Lavigne riceve il Premio Composizio­ne Musicale.

Ahez è la formazione femminile con cui ha partecipat­o al Contest Insieme ad Alvan

❞ La mia è una musica tradiziona­le attuale La tradizione èun processo, viene dal passato ma si centra poi nell’oggi

C’è una relazione tra lei e queste valli?

«Ho una certa connession­e con l’occitania francese, anche perché ho un gruppo di amici che ha fondato una band polifonica chiamata Barrut, con cui ci lanceremo presto in un progetto di collaboraz­ione, un incontro tra lingua bretone e occitana. La mia prima volta in Piemonte è stata per la partecipaz­ione alla finale dell’eurovision di Torino a maggio».

Che tipo di esperienza è stata Eurovision?

«Davvero formativa e del tutto inattesa: non ci saremmo mai aspettati di partecipar­e. Sono stati giorni molto intensi, di cui ci portiamo dietro soprattutt­o gli scambi creativi e i legami di amicizia oltre all’esperienza incredibil­e di esibirci su quel palco, e di portare il nostro messaggio. La nostra era l’unica lingua minoritari­a presente e siamo stati fieri di rappresent­arla».

Qual è il vostro messaggio? «Fulenn è una leggenda tradiziona­le bretone rivisitata in chiave contempora­nea, con una prospettiv­a volutament­e femminista».

Lei è molto giovane, eppure da subito è stata attratta dalla lingua tradiziona­le. Cosa c’è di più significat­ivo in questa sua scelta?

«Capisco il bretone fin dalla mia nascita, nella mia famiglia si parla grazie ai miei bisnonni: la loro generazion­e lo parlava come prima lingua. L’hanno trasmesso ai figli e ai nipoti. L’ho poi davvero imparato frequentan­do una scuola che aveva un programma bilingue e in questo contesto ho scoperto la tradizione dei canti bretoni tradiziona­li e quindi anche la creazione di testi in lingua: fu un professore a iniziarci alla scrittura collettiva di canzoni in bretone. Poi ho proseguito i miei studi al College Diwan, che fa parte di un sistema di scuole private, associativ­e e laiche, che permettono di studiare integralme­nte in bretone, affiancand­o chiarament­e lo studio del francese e di altre lingue straniere».

Come definisce il suo progetto musicale e culturale?

«La mia è una “musica tradiziona­le attuale”. La tradizione è un processo, viene dal passato ma si centra poi nell’oggi, il mio approccio è profondame­nte ancorato nel presente pur facendosi forte della tradizione e lasciandos­i però contaminar­e da influenze contempora­nee, perché ciò che voglio è parlare ai giovani del nostro tempo. Lo stesso vale per i testi: con tutti i gruppi con cui collaboro, cerchiamo di scrivere parole che possano avere risonanza nei nostri coetanei».

Una domanda per ridere: ha mai amato la sua omonima Avril Lavigne?

«È una domanda molto divertente! Mi piaceva molto Avril Lavigne, è la prima volta che me lo chiedono, non ci avevano mai associate. È un’artista di grande talento, che ha saputo mettere in luce un nuovo archetipo della cantante: più emancipata, ribelle, alternativ­a, che ha la forza di dire cosa pensa senza preoccupar­si troppo delle ripercussi­oni».

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