Jannis Kounellis, Apollo e il tempo perenne
Arriva alla tappa conclusiva, nella Videoteca della Gam, il ciclo di sei esposizioni dedicate alla storia del video d’artista (tutte curate da Elena Volpato e in collaborazione con l’archivio Storico della Biennale di Venezia). Dopo Gino De Dominicis, Giuseppe Chiari, Claudio Parmiggiani, Alighiero Boetti e Vincenzo Agnetti è ora la volta di Jannis Kounellis (fino al 13 novembre). La mostra, allestita negli spazi sotterranei resi per l’occasione ancora più scenografici, comprende due fotografie e un video. In tutte e tre le opere il protagonista è l’immagine di Apollo che Kounellis, il maestro dell’arte povera nato in Grecia nel 1936 e scomparso a Roma nel 2017, mette in scena tra il 1972 e il 1973. Proprio all’ingresso della Videoteca, la prima fotografia è opera di Claudio Abate. Venne scattata in una delle sale della galleria L’attico di Roma nel 1972: Kounellis vi appare a cavallo e sul volto reca una maschera in gesso dell’apollo del Belvedere. Forse un richiamo alle sue origini elleniche oltre che alla storia del (talvolta temibile) dio Apollo. Si tratta di un’immagine inquietante e onirica, di un’ambiguità che porta l’osservatore a indagarne i particolari: un cavallo in una sala antica, il pavimento forse rovinato, la giacca a quadri che Kounellis indossa, la maschera di un Apollo assolutamente inespressivo. Il secondo scatto in mostra, ancora di Abate, risale al 1973, in occasione della performance di Kounellis alla galleria La Salita di Roma. L’artista siede al centro dell’inquadratura nuovamente con la maschera di Apollo, mentre alla sua sinistra siede un flautista. Davanti a lui, su un tavolo antico, sono disposti in modo apparentemente casuale alcuni frammenti di riproduzioni di statue classiche sormontate da un corvo impagliato. Quasi una citazione di certa pittura fiamminga seicentesca. Nel video No title (1973) il protagonista è per la terza volta l’apollo della maschera indossata dall’artista. Si tratta dell’unico filmato realizzato da Kounellis: 25 minuti di camera fissa sull’artista immobile, trasmesso su un monitor posizionato all’interno di una stanza completamente nera, appositamente ricreata. Come ha sottolineato Volpato, «esiste un tempo misurabile, i 25 minuti della sua durata fisica; esiste poi il tempo storico in cui l’artista si offrì all’inquadratura fissa della telecamera; ed esiste infine il tempo perenne». Quello dell’apollo che dall’antichità arriva fino a noi.