Svolta green, i sindacati chiedono più fondi
Nella transizione ecologica ed energetica «l’istinto primordiale è quello di premere sull’acceleratore, ma qui vedo una curva pericolosa e una strada bagnata. Chi fa politica deve saper dosare acceleratore, freno e leva del cambio. So che questo alla fine è molto meno affascinante». Arriva una brusca frenata da parte del ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti durante il tavolo sull’automotive che si è svolto ieri con lo scopo di delineare la via da seguire per avviare la svolta green del settore. Una discussione partita dal pacchetto «Fit for 55», già votato al Parlamento europeo, che prevede il calo di emissioni di CO2 del 55% sul livello del 1990 entro il 2030. E che fissa il blocco delle vendite di automobili con motori termici entro il 2035. Un passo decisivo che dovrebbe aumentare la velocità della transizione tecnologica che il settore sta già affrontando. Una discussione avviata anche con il viceministro Gilberto Pichetto, i ministri Roberto Cingolani , Daniele Franco, Enrico Giovannini e Andrea Orlando. Parole contestate dai sindacati Fim e Cisl, secondo cui, invece, bisognerebbe partire subito.
«Bene la volontà di dotarsi di uno strumento legislativo per consentire una facilità nell’utilizzo dei fondi stanziati, ma i 7 miliardi di risorse non possono essere disponibili dal 2025 — sostengono i segretari sindacali —. Lo stop ai motori endotermici al 2035, l’orientamento di molte case automobilistiche allo stop nel 2030 e alcune tendenze rispetto al 2027 legate al motore euro 7, mostrano l’urgenza. Per noi bisogna definire una cabina di regia tecnica, per capire come usare i fondi sullo sviluppo della componentistica del futuro, sul versante green, per la digitalizzazione e la connettività». A fargli eco il segretario generale Fismic Confsal, Roberto Di Maulo.«dalla presentazione del piano le grandi case stanno facendo a gara a chi produce più veicoli elettrici — spiega il segretario —. Da questo progetto vi è un grande mondo che rischia di rimanere fuori, così come anche i consumatori. Non occorrono allora politiche allarmistiche ma industriali».