Corriere Torino

Un food city manager per Torino

- di Luca Iaccarino

Leggo con gaudio e speranza che la città si è rimessa in moto per quanto riguarda le politiche del cibo. Permettete­mi qualche veloce consideraz­ione. Prima di tutto credo si debba capire quale idea di alimentazi­one Torino vuole incarnare. La strada è già stata segnata da Slow Food, che certo è nata a Bra ma ha fatto del capoluogo la propria ribalta. Quindi Torino cuore del cibo buono, pulito e giusto. Aggiungere­i: la politica usa il termine «smart city» per indicare le città che investono su sostenibil­ità, conoscenza e via così; dunque direi «Torino smart food city».

Leggo con gaudio e speranza che la città si è rimessa in moto per quanto riguarda le politiche del cibo. Permettete­mi qualche veloce consideraz­ione. Prima di tutto credo si debba capire quale idea di alimentazi­one Torino vuole incarnare. La strada è già stata segnata da Slow Food, che certo è nata a Bra ma ha fatto del capoluogo la propria ribalta. Quindi Torino cuore del cibo buono, pulito e giusto. Aggiungere­i: la politica usa il termine «smart city» per indicare le città che inche vestono su sostenibil­ità, conoscenza, mobilità e via così; dunque direi «Torino smart food city». Peraltro «smart» è un termine anche della gastronomi­a: definisce la «bistronomi­e», le «nuove osterie» (come il Consorzio o Scannabue, per capirci). Se Torino ha detto qualcosa nella gastronomi­a degli ultimi quindici anni è soprattutt­o in questo settore. Quindi la smart food city del cibo buono, pulito e giusto. Allora, dove applicare questi valori? Prima di tutto nelle mense scolastich­e, che sono diretta

responsabi­lità della città e l’appalto comunale più oneroso. Qualcosa si è fatto, tanto si può fare nella progettazi­one assieme alle aziende della ristorazio­ne collettiva (Emilia e Lombardia sono più avanti di noi) e non solo per le scuole, per le mense e gli ospedali ad esempio (con le altre istituzion­i). Seconda voce: la formazione, diamine. Tutti a parlar di cibo ma fra un po’ non ci sarà più nessuno che lo produce o lo trasforma. Creare gli imprendito­ri, i cuochi e i camerieri di domani è una priorità. Terza voce: il dialogo con commercian­ti e pubblici esercizi, facendo pace e ragionando sui contenuti. Quarta voce: il rapporto con il resto della regione. La relazione con Alba continua a essere evocata ma personalme­nte mi sembra non decollare. Quinta voce: il turismo gastronomi­co e gli eventi (e l’attrazione dei medesimi), hanno bisogno di una regia. Sesta voce, ma prima: tutti hanno diritto al cibo, e abbiamo il dovere di non sprecarlo, quindi il supporto ai progetti sociali e alle buone pratiche. Chi deve fare tutto questo? Mentre scrivo queste righe sono nei Paesi Baschi al Basque Culinary Center: qui come altrove, la cosa pubblica ha dedicato al cibo un centro ricerche pieno di intelligen­ze (come Slow Food ha fatto a Pollenzo). Son tempi magri, non dico che ci voglia un «Torino Culinary Center», ma almeno un — come chiamarlo? — city food manager. Un ufficio, una persona, un assistente, una macchinett­a del caffè. E la volontà politica di dargli spazio di manovra. È tutto quel che serve per tracciare una strategia e perseguirl­a giorno dopo giorno. Agnolotto dopo agnolotto.

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