«Bene chi segnala subito la violenza psicologica Ha già capito cosa rischia»
Leila Picco, torinese, presidente di Soroptimist International d’italia dal 2015 al 2017, è una delle principali promotrici del progetto «Una stanza tutta per sé». Il nome dell’iniziativa è preso dal saggio di Virginia Woolf, l’obiettivo è la tutela delle donne che hanno subito violenze nel delicato momento della denuncia alle forze dell’ordine. Un percorso partito nel 2014 da Torino con la creazione del primo «luogo protetto» per l’audizione delle vittime all’interno della caserma dei carabinieri di Mirafiori. Poi, durante la presidenza di Picco, già docente di storia economica all’università di Torino, è stato siglato un accordo con il comando generale dell’arma per replicare l’esperienza in altre città. E adesso le stanze dedicate alle donne sono 210, sparse nelle caserme dei carabinieri, nelle questure e nei commissariati di polizia in tutta Italia.
Femminicidi e maltrattamenti continuano ad aumentare. Come si argina questa preoccupante tendenza?
«La denuncia resta lo strumento principale e indispensabile. I numeri delle violenze sono ancora molto alti, purtroppo e solo una donna su 10 racconta alle forze dell’ordine quello che è costretta a subire. È fondamentale spingere le vittime a non scegliere il silenzio e a chiedere aiuto. Rivolgersi a un’associazione è un punto di partenza, ma il passaggio successivo deve essere la segnalazione a carabinieri e polizia».
Entrare in una caserma o in un commissariato non è facile per chi viene da un vissuto di abusi, maltrattamenti e umiliazioni. Come si convince una donna a denunciare un uomo violento?
«Il progetto “Una Stanza tutta per sé” è nato a Torino proprio per questo. E ha permesso di creare ambienti, pensati anche nei colori e nell’arredamento, nei quali chi denuncia si senta protetta e possa avere un incontro meno traumatico con gli inquirenti.
Ma non basta. Il personale deve essere preparato e sempre più specializzato, in grado di sfruttare al meglio gli strumenti tecnologici a disposizione. Queste stanze sono dotate di impianti audio e video e le registrazioni possono essere utilizzate anche nella fase processuale successiva, evitando alle vittime di ripetere più volte il loro racconto, che è sempre un’esperienza dolorosa. I filmati sono importantissimi, perché consentono a un investigatore attento di capire, dal linguaggio del corpo o da un cambiamento della voce, i momenti in cui una donna, magari per paura, potrebbe essere reticente e cercare di nascondere qualche dettaglio»
Il monitoraggio effettuato dal Telefono Rosa evidenzia un aumento delle denunce di violenze psicologiche, in particolare da parte di donne in giovane età. Come giudica questo dato?
«Non ho elementi per analizzare con precisione queste statistiche, ma la chiave di lettura potrebbe anche essere positiva. Fermo restando che il nostro primo obiettivo resta sempre quello della diminuzione dei casi, le violenze psicologiche sono il primo campanello d’allarme, molto difficile da riconoscere da parte delle vittime. Il fatto che tante giovani donne sporgano denunce di questo tipo potrebbe voler dire che il livello di percezione è aumentato. Questo è un passo in avanti, perché l’uomo che vuole dominare non lo fa solo picchiando e anche la violenza economica è particolarmente subdola e difficile da intercettare. Inoltre spesso la vittima si “abitua” o magari si illude che il suo compagno possa cambiare. Niente di può sbagliato, perché poi, nella maggioranza dei casi, la situazione peggiora e subentrano anche le violenze fisiche».
Aumentano anche i progetti di recupero per uomini violenti anche se un vero «cambiamento culturale» non c’è stato. Cosa si può fare?
«In famiglia e nelle scuole si è cominciato a parlare di violenze di genere e questo è comunque importantissimo. Ma per arrivare a una piena conoscenza e coscienza del problema è necessario ancora un percorso molto lungo. Quello che si può realizzare nell’immediato è una maggiore diffusione della “cultura dell’attenzione alle violenze di genere”. Da parte di tutti i cittadini e anche delle forze dell’ordine, un risultato che le nostre “stanze” hanno già raggiunto. Una comunicazione efficace resta fondamentale. Gli uomini violenti devono conoscere l’esistenza di questi progetti di recupero e le donne maltrattate devono sapere che per trovare le stanze protette basta andare sul sito di Soroptimist d’italia o su quello dei carabinieri. E il mio consiglio resta sempre lo stesso: “Non rimanere in silenzio. Chiedi aiuto”».
❞ Il ruolo degli operatori Il personale deve essere preparato e specializzato, in grado di cogliere i segnali del corpo
❞ Le giovani Tante denunciano, è un segnale positivo, vuol dire che la sensibilità sul tema e aumentata