«I miei guardiani, simbolo d’illusione»
Dopo le sculture in bronzo esposte sulla Highline di New York, Nina Beier porta i suoi leoni sulla Pista del Lingotto: «Rovesciati, saranno ciotole per uccelli selvatici»
In alto lo «scrigno» di Renzo Piano per la collezione Agnelli, tutt’intorno la città, la sua architettura, la collina e il Po, le montagne sullo sfondo. La Pista 500 del Lingotto, un tempo destinata al collaudo delle auto prodotte ai piani sottostanti e oggi «giardino pensile» di grande suggestione (con oltre 40 mila piante a 28 metri di altezza), è sempre più un luogo per l’arte contemporanea. Con il suo nuovo progetto di opere all’aperto, Sarah Cosulich, neodirettrice della Pinacoteca Agnelli, propone sette installazioni artistiche e ambientali (sculture, opere video e sonore...) firmate da grandi nomi dell’arte di oggi come Sylvie Fleury, Shilpa Gupta, Louise Lawler, Marck Leckey, Cally Spooner e Valie Export. Nina Beier (Danimarca, 1975) presenta l’opera The Guardians.
Beier, chi sono i suoi «guardiani»?
«I leoni guardiani sono un simbolo di territorialità e autorità, un simbolo di potere e, forse, soprattutto una testimonianza dell’illusione umana del dominio sulla natura. L’installazione alla Pinacoteca gioca con ciò che accade quando un leone custode lascia il suo posto designato all’ingresso di un edificio. Quando perde il suo status e non è più ornamento, ma si anima come nella rappresentazione scultorea di un branco di leoni selvaggi. Questi pesanti leoni marmorei giacciono rovesciati e fungono da ciotole per il cibo per gli uccelli selvatici che vengono attirati sulla pista».
Che cosa la affascina dei leoni?
«Per me è interessante riflettere sul viaggio attraverso i diversi significati che hanno assunto questi animali. Soprattutto da quando sono prodotti principalmente in Cina, hanno subito una mutazione estetica, ora più naturalistica e con alcuni caratteri “Disneyficati” come i riflessi scolpiti nelle pupille. In Europa, i leoni guardiani anticamente delimitavano gli ingressi delle istituzioni pubbliche, mentre oggi sono più comunemente posti davanti alle abitazioni private. Hanno subito un declino di status, ma sono ancora custodi del potere».
Nelle sue opere spesso indaga la decontestualizzazione dei simboli culturali.
«Scavo nei codici culturali e nelle cose che trovo particolarmente stratificate e contraddittorie, mi interessa la loro produzione, commercio e utilizzo nel trascorrere del tempo. Sono attratta da oggetti che possiedono storie complicate, dalle parrucche di capelli umani ai sigari arrotolati a mano, ai tori meccanici. Più intricata e complessa è la storia dell’oggetto, più posso trarne qualcosa di interessante. Li raccolgo in “famiglie”, dopodiché posso iniziare a dialogaproducendo re con loro. È così che, molto prima di sapere come li avrei usati, ho iniziato a collezionare leoni guardiani di marmo. Ero affascinata dal fatto che fossero serviti come protezione contro gli spiriti maligni e come demarcazione del confine tra coloro che sono dentro e coloro che sono fuori, letteralmente e metaforicamente».
Prima la Highline a New York e ora la Pista. Sembra essere attirata dai luoghi sopraelevati...
«È vero. Ho appena installato una fontana sull’highline dal titolo Women & Children,
un insieme di sculture in bronzo trovate in giro che variano dallo stile classico a quello moderno, tutte raffiguranti donne e bambini nudi. L’acqua scorre dai fori praticati nei loro occhi lacrime quasi da cartone animato. O forse l’acqua che esce da queste sculture materializza un campo visivo, restituendo lo sguardo che li aveva oggettivati».
A che cosa sta lavorando ora?
«Tra i molti progetti, posso dirvi che abbiamo in programma di mettere in scena un lavoro insieme alla Pinacoteca Agnelli a novembre. Si intitola All Fours ed è una collaborazione con l’artista Bob Kil che si esibirà con altri 4 ballerini attorno ai leoni, che saranno drappeggiati con tessuti domestici: dai tappetini da bagno agli asciugamani, agli stracci e alle coperte».
Madama sconta ancora le conseguenze dei due anni senza direttore, e per risollevarne le sorti non è sufficiente la pur bella mostra Invito a Pompei che dall’apertura, il 7 aprile, ha racimolato (il dato risale al 20 luglio) poco più di 21 mila visitatori.
A complicare la situazione si aggiungono le precarie condizioni della sede della Gam: urgono interventi strutturali sull’intero edificio, dai solai alle fondamenta, e pare pressoché inevitabile la chiusura totale. Chiusura beninteso temporanea, ma sappiamo bene quanti anni possa durare la «temporaneità» a Torino, se si tratta di musei. L’assessore Purchia vorrebbe che il cantiere procedesse per lotti separati, così da mantenere sempre aperte alcune sale, ma tecnicamente sembra difficile poterla accontentare. La questione è allo studio di architetti e ingegneri, un calendario dei lavori potrebbe essere pronto per l’autunno. E c’è un piano B: se sarà indispensabile chiudere, le opere della Gam non rimarranno nei depositi ma andranno in tournée con una serie di mostre itineranti in Italia e all’estero.
❞ In autunno con la Pinacoteca Agnelli metteremo in scena “All Fours”, insieme a Bob Kil e altri 4 ballerini: danzeranno attorno ai leoni “vestiti” con tessuti domestici