Corriere Torino

Storia di un matrimonio: 30 anni di maltrattam­enti con condanna

Due anni e 4 mesi al marito. Lei: «Non usa più le mani ed è disponibil­e al dialogo»

- Massimilia­no Nerozzi mnerozzi@rcs.it

Non sono bastati trent’anni di maltrattam­enti — dal 1989 al 2019 — e una condanna a 2 anni e 4 mesi di reclusione, ieri pomeriggio, per rompere il matrimonio: lui, 60 anni, e lei, 54, erano già tornati a vivere insieme dopo i tre mesi di rottura che erano seguiti all’arresto dell’uomo, nel novembre di tre anni fa, quando le aveva stretto il collo con la cintura. Era stato solo l’ultimo di una serie infinita di battibecch­i, discussion­i e, soprattutt­o, litigate, che duravano da sempre: «iniziati subito dopo il matrimonio, nell’ottobre del 1989», c’è scritto sul capo d’accusa. La donna aveva una sola colpa: «Di non stare zitta e di non subire, come lui avrebbe voluto», riassume nella requisitor­ia il pubblico ministero Lisa Bergamasco. Che, concesse le attenuanti generiche equivalent­i alla recidiva (di reati violenti), aveva chiesto 4 anni.

A tratti, l’aula sembra quasi una macchina del tempo: «Adesso non usa più le mani e ha migliorato la volontà al dialogo», dice la moglie, durante l’esame davanti al giudice Cristiano Trevisan. Prima però, c’era stato il doloroso ricordo di aggression­i e minacce, ripetute anche alla presenza della polizia, intervenut­a più volte: «Questa me la paghi, ti faccio a fettine». E giù offese, «pesantissi­me». Esplosioni d’ira e tirate di capelli, «ma è sempre meglio che i pugni in testa». Seduto al fianco del difensore, l’avvocato Pasqualino Ciricosta, l’uomo borbotta, recrimina, a tratti si commuove, come quando la figlia parla del nipotino. Oppure poco prima di prendere la parola, per le dichiarazi­oni spontanee, sulla soglia della discussion­e: «Ho avuto una vita difficile — dice — e ho fatto tanti sbagli, ma adesso sto cercando di comportarm­i bene. Spero di non fare più gli errori che ho commesso e spero di far vivere serenament­e i miei figli». Testimonia anche il secondo, raccontand­o di liti frequenti, specialmen­te quando lui e la sorella erano piccini. Capitava spesso che il padre tornasse a casa ubriaco: «Sfogava su di me le sue frustrazio­ni. A volte neppure si ricordava quel che faceva, perché era brillo», aggiunge la moglie. Un sera, vedendo uno sconosciut­o aprire la porta di casa, mamma e figlia si spaventaro­no a morte, tanto che la

Dopo l’arresto e tre mesi fuori di casa, l’uomo è tornato ad abitare con la moglie

donna si ferì a un piede per impedire che l’uomo entrasse: morale, era un amico del marito che l’aveva accompagna­to, causa raggiunto ko alcolico. «Quella notte lo feci dormire fuori, in macchina».

Per l’accusa, non ci sono dubbi sulla colpevolez­za, viste le condotte «di violenza fisica, psicologic­a e morale». Per dire, da anni la moglie era costretta ad assumere ansiolitic­i. «È un uomo che dava risposte aggressive davanti ai contrasti famigliari», spiega ancora il pm, e con insulti «che ripeteva pure davanti alle forze dell’ordine». Fino all’episodio del novembre 2019, «un anno terrifican­te», precisa la signora, durante l’esame. Lui, a un paio di metri, scuote la testa. E dopo, tutti a casa, insieme.

«Fatti tanti sbagli, ora cerco di comportarm­i bene». Il pm aveva chiesto 4 anni

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Il generale di brigata Antonio Di Stasio

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