Turin, mon amour
Le parole di ammirazione per la città negli scritti dei grandi intellettuali d’oltralpe
Questa volta si tratta di articolo in cui si ritrovano le parole di cinque grandi letterati dedicate alla città che ebbero modo di visitare tra il Sette e Ottocento
Nella foto in alto, una veduta di Torino del Belotto (1745); nelle immagini in basso: Alexandre Dumas, Montesquieu e Flaubert
«Turin, mon amour». Sono davvero molti gli intellettuali e gli scrittori francesi che si sono innamorati di Torino, nonostante, in genere, gli abitanti d’oltralpe abbiano spesso nutrito una malcelata diffidenza per il Piemonte e per i piemontesi, considerati perlopiù un popolo di buoni lavoratori, ma alquanto grezzi e riservati, ostici nelle guerre, e che parlavano una lingua strana, che a tratti risuonava come una caricatura della loro raffinata parlata.
Soprattutto nel Settecento e nell’ottocento, furono numerosi gli scrittori e i poeti transalpini che valicarono le Alpi attraverso la Val di Susa per visitare il bel Paese e arricchire le loro conoscenze, entrando in contatto diretto con la cultura italiana e la esuberante e incomparabile ricchezza artistica delle città d’italia. E c’è chi (ci spingiamo a dire una parte rilevante dei viaggiatori) rimase rapito dal fascino del tutto inaspettato di Torino, capace di conquistare l’attenzione dei più distratti, e suscitare commenti entusiastici. Così, dopo averne scoperta la bellezza unica ed esemplare, molti di questi finirono per tornarci dopo aver programmato un soggiorno più lungo.
Charles-louis de Secondat, barone di La Brède e di Montesquieu, filosofo, storico e giurista (La Brède, Aquitania, 1689 — Parigi 1755), ad esempio, giunse a Torino il 23 aprile del 1728. E fu talmente colpito dalla bellezza della capitale subalpina che nel suo
scrive: «Torino è una città molto allegra, piuttosto piccola, anche se è stata ingrandita da Carlo Emanuele II, padre dell’attuale re (Vittorio Amedeo II, e che l’attuale re, dopo l’assedio, ha provveduto ulteriormente ad ingrandire». Così continua Montesquieu nel suo scritto: «I nuovi ampliamenti urbanistici pare siano stati tracciati con una squadra. La piazza principale (piazza Castello, è una delle più belle cose che si possano vedere: su di essa si affaccia il Palazzo Reale e numerosi armonici palazzi appartenenti a privati. Al centro della piazza si erge l’edificio che la defunta Madama reale ha fatto costruire e che è d’una architettura magnifica».
E ancora: «Il Palazzo del Principe di Carignano è parimente magnifico: l’entrata si compone d’un grande e sinuoso corpo centrale, all’interno del quale si apre un porticato ovale, con otto colonne doppie da ogni lato… Da ambo le parti del portico, si può salire a tre stupendi saloni superiori… è un autentico capolavoro… In sintesi, Torino è una piccola città, ma costruita in modo perfetto: possiamo dire che è la cittadina più bella del mondo».
Dal canto suo, Jean-jacques Rousseau (Ginevra, 1712 — Ermenonville, Oise, 1778) racconta nelle sue che dopo essere stato accompagnato da una guida sulla collina di Torino rimase letteralmente senza fiato nel contemplare il panorama della città e l’ampia chiostra alpina innevata che abbracciava la pianura. «Mi condusse fuori città, su di un’alta collina, sotto la quale scorreva il Po, di cui potevo scorgere il corso attraverso le rigogliose sponde: in lontananza si stagliava l’immensa catena delle Alpi che faceva corona al paesaggio. I raggi del sole crescente illuminavano orizzontalmente la pianura e proiettavano lunghe ombre di alberi e di case, creando mille giochi di luce, e disegnando un dipinto naturale talmente bello che nessun altro potrebbe affascinare maggiormente l’occhio umano».
Alphonse de Lamartine (Mâcon, 1790 — Parigi, 1869) compì in Italia diversi viaggi culturali. Ecco cosa scrive a proposito di Torino il grande poeta francese. «Impossibile immaginare una città più bella di Torino: c’è tutto, non manca niente; nulla imbarazza lo sguardo: tutto è bello e meraviglioso. Prendete i più bei palazzi di Parigi, Lione, Bordeaux: immaginate di abbellirli con delle decorazioni in stile italiano; metteteli gli uni accanto agli altri e formate delle strade porticate e ben allineate: a questo punto avrete solo una piccola idea di cos’è davvero Torino. Più il mio viaggio continua, e più scopro altre città, senza mai trovare però un’altra Torino».
E che pensava di Torino Gustave Flaubert (Rouen, 1821 — Croisset, Normandie, 1880)? Dopo aver visitato l’armeria Reale, nel 1845 così ebbe a scrivere: «Un grande Museo d’artiglieria, tenuto in modo esemplare. Completamente diverso da certi musei in cui le armature, per quanto belle, si riempiono di povere e di ragnatele. Tutto quanto qui viene esposto è ordinato e pulito…. Queste corazze sono servite a proteggere dei cuori palpitanti e coraggiosi: come quella del Principe Eugenio di Savoia, che mostra i fori di due proiettili… C’è la sella di Carlo Quinto, in velluto rosso bordato d’argento, di foggia francese, con orli davanti e dietro… Ma ciò che è più curioso sono le armature orientali, turche ed arabe».
Dunque, il fascino torinese faceva colpo sugli intellettuali d’oltralpe non solo per le bellezze architettoniche e naturalistiche della città, ma anche per il suo pregevole patrimonio museale e culturale.
Non poteva mancare un apprezzamento di carattere gastronomico. Torino, già allora, colpiva i visitatori stranieri anche per le sue specialità alimentari e culinarie. Non c’è dunque di che stupirci se Alexandre Dumas padre (Villers-cotterêts, Haute France, 1802 — Neuville-lès-dieppe, Normandia, 1870), dopo aver assaggiato un bicerin nello storico locale di fronte alla chiesa della Consolata, si esprimesse così: «Tra le buone cose riscontrate a Torino, non dimenticherò mai il “bicerin”, una particolare bevanda composta di caffè, latte e cioccolato, che si serve in tutti i locali ad un prezzo relativamente basso».