Il patriota Damiano Chiesa e la lapide dimenticata
Quasi nel cuore della movida torinese, in via Baretti 25, c’è una lapide di fatto illeggibile in ricordo del soggiorno torinese del patriota irredentista di Rovereto Damiano Chiesa che studiò al Politecnico di Torino e lavorò alla redazione del giornale
fondato da un gruppo di studenti universitari capeggiato da Camillo Pasti. A quel gruppo a cui partecipò Cesare Battisti, prese parte anche mio nonno che nel 1966 mi accompagnò a visitare il Castello del Buon Consiglio a
Trento per rendere omaggio a Battisti e Chiesa con i quali aveva combattuto durante la Grande Guerra, che lui vedeva come quarta guerra per l’indipendenza. Non si trattava di fanatici nazionalisti, ma di patrioti che vedevano nella guerra uno spirito risorgimentale sull’onda dell’irredentismo di Guglielmo Oberdan che neppure la Triplice Alleanza con l’austria e la Germania era riuscita a stroncare. La lapide, che fu posta dall’associazione madri e vedove di guerra (sezione di Torino), usa un linguaggio lontanissimo da quello dei nostri tempi, sembra veramente ottocentesca: si parla di «cuore eroico», di «ferocia austriaca», di divina passione della Patria», di «luce e poesia immortale».
Forse neanche Edmondo De Amicis nel suo libro avrebbe usato accenti così accorati. Il dato di fatto oggettivo è però il ricordo di un giovane di 22 anni fucilato per «alto tradimento», essendo egli suddito austriaco, decorato di Medaglia d’oro al Valor Militare, a cui il Politecnico di Torino conferì la laurea honoris causa dopo la sua condanna a morte.
Chiesa si era amalgamato con l’ambiente culturale e giovanile torinese rappresentato da Nino Oxilia, autore della famosa commedia
cadde anche lui in combattimento nel 1917. Non c’era in questi giovani nulla del futurismo guerrafondaio che finì di fomentare il fascismo.
Questa lapide, di cui si parla nel libro edito dal Comune di Torino merita almeno un pò di attenzione, sia perché dedicata a un giovane che sacrificò la propria vita, sia perché è la testimonianza storica di un’epoca della nostra città. Ed è anche una questione di decoro ripristinare la targa abbandonata da decenni di incuria.