Corriere Torino

L’ex bomber Padovano: «Ora torno a vivere»

Assolto dopo 17 anni dall’accusa di traffico di droga: «Mi hanno strappato tutto in un attimo»

- S. Lor.

«Non c’è gol che abbia segnato o che avrei potuto segnare che valga la gioia che provo oggi. Ho vinto la partita più importante della mia vita». Il sorriso di Michele Padovano, 55 anni, è contagioso. Così come le lacrime che ha versato nel momento in cui gli è stato comunicato il verdetto che attendeva da 17 lunghi anni. La Corte d’assise d’appello lo ha assolto dall’accusa di traffico di droga. L’ex attaccante della Juventus e della Nazionale un po’ ci sperava: nel gennaio 2021 la Cassazione aveva annullato la condanna a sei anni e otto mesi, rinviando gli atti a Torino per un nuovo giudizio d’appello. In quella decisione i suoi legali, Michele Galasso e Giacomo Francini, vi avevano visto uno spiraglio che ora è diventato realtà. «Soa no stati anni terribili e dolorosi. Quando venni arrestato ero un dirigente dell’alessandri­a, avevo 38 anni e ancora un futuro brillante davanti, anche se avevo abbandonat­o il calcio giocato. Invece, in un batter d’occhio mi è stato portato via tutto — racconta il bomber —. Nessuno mi potrà mai restituire ciò che ho perso. Oggi, però, ne esco più forte, grazie anche alla mia famiglia e ad alcuni pochi amici che non si sono dileguati nel nulla».

Padovano venne arrestato nel 2006. Il pm Antonio Rinaudo lo accusava di essere il finanziato­re di un’associazio­ne che trafficava droga dal Marocco attraverso la Spagna. A farlo finire nei guai era stata l’amicizia con Luca Mosole, il quale è stato condannato a sei anni e otto mesi: «Ci conoscevan­o dall’infanzia e quando mi ha chiesto dei soldi in prestito l’ho aiutato. Non ho fatto domande, avrei potuto essere più attento. Ma a parlare è il senno di poi, non rinnego nulla». «Il giorno dell’arresto — continua — pensai di essere su “Scherzi a parte”. All’improvviso mi sono ritrovato in carcere Cuneo: mi lasciarono in isolamento per dieci giorni senza neanche consentirm­i di fare una doccia. Poi mi trasferiro­no a Bergamo e lì incontrai una grande umanità. All’inizio pensavo fossero gentili perché ero Padovano, un calciatore famoso che ha vinto molto nella vita. Invece lo erano con tutti».

La sentenza di primo grado arrivò nel 2011. Lui e Mosole (difeso dagli avvocati Enrico Grosso e Gianni Caneva) furono gli unici a scegliere il rito ordinario, gli altri arrestati optarono per l’abbreviato. La Procura chiese per Padovano una condanna a 24 anni e per l’amico a 44. Il verdetto dei giudici fu più mite: 8 anni e 8 mesi per il primo, 15 anni per il secondo. «Sentivo di vivere una profonda ingiustizi­a. Per strada e al lavoro le persone mi guardavano e leggevo nei loro occhi il pregiudizi­o: del resto, l’accusa era infamante». Le pene vennero poi ricalcolat­e nel processo d’appello e successiva­mente il verdetto venne annullato dalla Cassazione: «È assurdo tenere in sospeso per così tanto tempo la vita delle persone. Ma adesso riparto, senza la spada di Damocle che fino a oggi mi impediva di guardare con serenità al futuro. La mia vita è racchiusa in un pallone, certe passioni sono stampate nel Dna. Rinunciare è stato difficile e vorrei avere la possibilit­à di riscattarm­i. Ci sono ancora molte cose che voglio fare e il calcio è il mio mondo. Ho provato anche a fare altro, ma con scarsi risultati».

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Michele Padovano. 5 anni

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