Corriere Torino

«Mio padre, un ebreo con la camicia nera»

- F. Ang.

Un ebreo in camicia nera. Sembra una bestemmia. Invece è una storia vera, che il giornalist­a del Corriere della Sera Paolo Salom racconta nel suo romanzo (Solferino) che presenta oggi alle 18 al Circolo dei lettori con Gianni Armand Pilon. È una storia scomoda ancor più perché di famiglia. Si narra del padre di Salom che, per salvarsi, preso dai fascisti, finirà per indossare la camicia nera nelle brigate della Repubblica sociale italiana.

Quanto coraggio ci è voluto a scrivere questo libro?

«Dieci anni di coraggio ci sono voluti. Un tempo, trascorso dalla morte di mio padre, necessario a trovare il modo di trasferire ciò che avevo nella testa. Ci ho provato tante volte, cestinavo file che ho anche ritrovato. L’anno scorso è scattato qualcosa».

Cosa c’è di vero e cosa di romanzato?

«Romanzato è il contesto. I fatti essenziali sono veri. Vero è che mio nonno convertì tutti nel 1938, che mio padre scappò dal rifugio dove era con la famiglia e che fu l’unico a salvarsi, che fuggiva verso la Svizzera per espatriare e venne intercetta­to dai fascisti, che indossò la camicia nera e con le truppe arrivò fino alla Linea Gotica, che tornò a casa a piedi alla fine della Guerra. E si salvi chi può».

È stato importante per lei scrivere?

«Quando scrivi, scrivi e basta. Certo è che, arrivato alla fine del libro, mi sono reso conto di sentirmi più leggero. Come se avessi finalmente tirato fuori tutta questa storia che era rimasta in famiglia e che aveva prodotto un senso di vergogna in me e nei miei fratelli, pur vivendo le cose in maniera diversa, e che questa cosa era arrivata al termine. Avevo trovato il modo di scriverla per tutti. Mi sentivo a posto, completo. Ho 60 anni e posso vivermi questa nuova fase dell’esistenza, più breve, senza pesi sul cuore. Meglio tardi che mai».

Come le confessò i fatti? «Sono stati tanti piccoli tasselli detti nel tempo. Poi, quando era molto anziano, e io ero già grande con una moglie e dei figli miei, mi raccontò ogni cosa».

Si sentì alleggerit­o anche lui forse?

«Forse, sì».

Il Giorno della Memoria è appena passato. Cosa rappresent­a per lei?

«Fin da bambino ho letto moltissimo sulla Shoah, sulla storia degli ebrei, ciò ha innescato le questioni fondamenta­li sulla mia famiglia e sull’identità nostra collettiva. Mi sento di condivider­e l’ansia di Liliana Segre quando dice che teme che l’olocausto diventi una riga sui libri di storia. È un pericolo reale».

Finito il libro, mi sono sentito più leggero: questa storia aveva prodotto un senso di vergogna

 ?? ??
 ?? ?? Sul cavallo a dondolo Marcello a Galatz
Sul cavallo a dondolo Marcello a Galatz

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy