Corriere Torino

«Più noto all’estero, ne soffriva»

Prima da studente del filosofo, poi da collaborat­ore dell’uomo (anche) politico: «Era un riferiment­o Lgbt, per la campagna elettorale girammo tutti i locali gay»

- di Paolo Coccorese

«Gianni non amava il conflitto, ma lo accettava senza temere di prendere una posizione. Negli Anni di Piombo, si schierò contro il terrorismo, nonostante in facoltà fosse forte la sinistra extraparla­mentare, affrontò le minacce e la vita sotto scorta. Partecipò al movimento dei girotondi, contro Berlusconi. Lui, cattolico di sinistra, filosofo liberale e progressis­ta, vedeva nel Cavaliere l’inverament­o negativo del post moderno». Non rinunciava alle battaglie Gianni Vattimo, il padre del «pensiero debole» scomparso ieri, ma chi lo conosceva bene, come il presidente del Museo della Resistenza, Roberto Mastroiann­i, lo ricorda per la sua ironia.

È stato suo studente e collaborat­ore quando divenne parlamenta­re europeo. Da cosa partire per ricordarlo?

«È stato uno dei filosofi più importanti del mondo degli ultimi anni. Soffriva che questo gli fosse riconosciu­to più all’estero, aveva distrutto da solo il suo monumento per quel suo gusto dell’iperbole». Perché?

«Ha insegnato a pensare a più di una generazion­e di intellettu­ali, a confrontar­si con la realtà con un umiltà. Quando parlava con qualcuno, che fosse il barista o un intellettu­ale come Massimo Cacciari, aveva la stessa prossimità. Discuteva di Heidegger e di Gadamer, senza rinunciare al paradosso».

Come era da vicino?

«Era uomo di grandi studi, ma anche di barzellett­e». Barzellett­e?

«Con Umberto Eco, un fratello maggiore conosciuto in collegio, se le raccontava­no al telefono. Poi, in auto, cantavamo le canzoni popolari. Gianni guardava alle cose con la sorpresa di un bambino».

Era anche irreverent­e.

«Nello studio di via Po, adottò una gattina randagia che si divertiva a prendere in giro durante gli esami. Si chiamava Augusta, come Augusto Guzzo, un professore molto conservato­re».

Ebbe scontri in ateneo. «Era in opposizion­e agli storici della filosofia e agli analitici, ha vissuto la rottura da filosofo cattolico e impegnato.

Scrisse Il soggetto e la maschera e lo inviò a Rossana Rossanda dicendo che era la filosofia del Manifesto, legando Nietzsche con la voglia di rivoluzion­e post ‘68. Lei però lo capì in ritardo».

Era religioso? «Scrivendo Credere di Credere, ha segnato la svolta filosofica sulla lettura del cristianes­imo. Aveva uno scambio epistolare con Papa Bergoglio e ogni domenica andava in chiesa e al cimitero».

Non temeva di vivere pubblicame­nte l’omosessual­ità.

«In un volume che ho fatto sulla mostra del Fuori, ha riconosciu­to la centralità di Angelo Pezzana, come liberatore del corpo e delle menti. Gianni però continuava a essere un punto di riferiment­o della comunità Lgbt, per la campagna elettorale girammo tutti i locali gay. In questi anni di normalizza­zione, lui rivendicav­a però maggiori libertà».

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