«Più noto all’estero, ne soffriva»
Prima da studente del filosofo, poi da collaboratore dell’uomo (anche) politico: «Era un riferimento Lgbt, per la campagna elettorale girammo tutti i locali gay»
«Gianni non amava il conflitto, ma lo accettava senza temere di prendere una posizione. Negli Anni di Piombo, si schierò contro il terrorismo, nonostante in facoltà fosse forte la sinistra extraparlamentare, affrontò le minacce e la vita sotto scorta. Partecipò al movimento dei girotondi, contro Berlusconi. Lui, cattolico di sinistra, filosofo liberale e progressista, vedeva nel Cavaliere l’inveramento negativo del post moderno». Non rinunciava alle battaglie Gianni Vattimo, il padre del «pensiero debole» scomparso ieri, ma chi lo conosceva bene, come il presidente del Museo della Resistenza, Roberto Mastroianni, lo ricorda per la sua ironia.
È stato suo studente e collaboratore quando divenne parlamentare europeo. Da cosa partire per ricordarlo?
«È stato uno dei filosofi più importanti del mondo degli ultimi anni. Soffriva che questo gli fosse riconosciuto più all’estero, aveva distrutto da solo il suo monumento per quel suo gusto dell’iperbole». Perché?
«Ha insegnato a pensare a più di una generazione di intellettuali, a confrontarsi con la realtà con un umiltà. Quando parlava con qualcuno, che fosse il barista o un intellettuale come Massimo Cacciari, aveva la stessa prossimità. Discuteva di Heidegger e di Gadamer, senza rinunciare al paradosso».
Come era da vicino?
«Era uomo di grandi studi, ma anche di barzellette». Barzellette?
«Con Umberto Eco, un fratello maggiore conosciuto in collegio, se le raccontavano al telefono. Poi, in auto, cantavamo le canzoni popolari. Gianni guardava alle cose con la sorpresa di un bambino».
Era anche irreverente.
«Nello studio di via Po, adottò una gattina randagia che si divertiva a prendere in giro durante gli esami. Si chiamava Augusta, come Augusto Guzzo, un professore molto conservatore».
Ebbe scontri in ateneo. «Era in opposizione agli storici della filosofia e agli analitici, ha vissuto la rottura da filosofo cattolico e impegnato.
Scrisse Il soggetto e la maschera e lo inviò a Rossana Rossanda dicendo che era la filosofia del Manifesto, legando Nietzsche con la voglia di rivoluzione post ‘68. Lei però lo capì in ritardo».
Era religioso? «Scrivendo Credere di Credere, ha segnato la svolta filosofica sulla lettura del cristianesimo. Aveva uno scambio epistolare con Papa Bergoglio e ogni domenica andava in chiesa e al cimitero».
Non temeva di vivere pubblicamente l’omosessualità.
«In un volume che ho fatto sulla mostra del Fuori, ha riconosciuto la centralità di Angelo Pezzana, come liberatore del corpo e delle menti. Gianni però continuava a essere un punto di riferimento della comunità Lgbt, per la campagna elettorale girammo tutti i locali gay. In questi anni di normalizzazione, lui rivendicava però maggiori libertà».